Non sarà domani, ma prima o poi sarà.

Usciremo di casa, saremo ancora circospetti, come se la nostra città non fosse davvero la nostra città. Come se i luoghi li scoprissimo per la prima volta. Come se tutti ci apparissero, in fondo, estranei.

Usciremo e faremo le solite cose, ma non nel solito modo. Avremo bisogno di tempo, come dopo una lunga convalescenza. Forse ci accorgeremo di cose che avevamo dimenticato, o di cui non ci eravamo mai resi conto. Poi ce ne dimenticheremo, ma per qualche momento, forse qualche giorno, tutto ci sembrerà così. Come nuovo.

Tornerà il rumore, tornerà la confusione, che oggi pare di essere in un parco nazionale. E sarà difficile ricominciare, perché avremo sceso parecchi scalini, giorno dopo giorno, e riprendersi non sarà automatico. Noi con la nostra piccola impresa siamo arrivati all'”ordine zero”, non capitava da mesi.

Per le modalità stesse di questa cosa del virus, non potremo festeggiare, non subito. Non potremo uscire di casa e vederci tutti insieme, ricominciare dal «dove eravamo rimasti». Saremo tenuti, ancora, a tempi e spazi che si apriranno progressivamente. Non tutto d’un colpo. No. Non sarà un 25 aprile, né – se vogliamo essere più prosaici – un carosello per lo scudetto.

Sarà una ripresa, lenta, dolorosa e, speriamo, solidale. In cui tutta la retorica del “chiuso” e della “distanza” trovi almeno un po’ di conferme, nella vita di tutti i giorni.

L’abbraccio rimarrà una cosa molto intima e selettiva, a lungo. Il disinfettante andrà ancora a ruba. Stringersi la mano, anche no.

Forse proveremo fastidio per le polemiche inutili a cui eravamo abituati prima che le cose si facessero serie e cioè per il gossip politico e per le esagerazioni, ora che una situazione esagerata abbiamo provato a conoscerla.

Non ci saranno conversioni, ai tricolori esposti alle finestre non corrisponderà un senso civico generalizzato, né l’orgoglio per ciò che ancora c’è di pubblico come lo sentiamo ora. Però da questa esperienza certo qualcosa rimarrà. E, quando ripartiremo, dovremo tenere bene a mente che può capitare, che non ci siamo solo noi, che tutto non si risolve con il “faccio, io”, meglio se da soli, ma con qualcosa di più e di meglio. E di nuovo, appunto.

Perché oltre ad ammazzarci di stories allo specchio, di torte e di pizze, di meme, dovremmo iniziare a pensare a che cosa possiamo fare, di meglio, per quando potremo – finalmente – vedere quelli che ora ci mancano tantissimo. Perché di sicuro, ci torneranno antipatici, un po’, come prima, come sempre. Ma di loro e di noi e di come funziona forse sapremo qualcosa in più.

Chissà se useremo ancora l’avverbio “insieme” con lo stesso slancio. E chissà quanto durerà.

Se vogliamo ripartire, dobbiamo prepararci ora, dopo avremo molto da fare.

Prepariamoci a farlo bene, abbiamo tutto il tempo.

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