Eppure il clima è scomparso di nuovo dall’agenda politica, robe da matti. Come scrive Fred Vargas nel suo ultimo libro, L’umanità in pericolo (Einaudi), chiedendo che tutti viriamo, cambiamo direzione, mentre le nostre classi dirigenti faticano ad andare oltre alle dichiarazioni e ai proclami. Vargas è implacabile, indignata e appassionata. Nota però con disperazione che non lo siamo tutti. Anzi.

Non è una questione tra le altre. Non è il punto di un elenco. Non è un comizio. Nemmeno un temino. Né la formula magica, magari con qualche parola inglese, tipo Green New Deal, che detto così non significa nulla. È solo un abracadabra disperato.

Non è retorica, insomma. È una missione politica.

Per noi, in particolare, il ritardo sul clima coincide con il ritardo del nostro Sistema Paese. Ne è uno specchio. Delle sue incertezze, certo, ma anche delle sue ricchezze nascoste, delle sue intelligenze, delle possibilità che si incontrano ovunque, dietro a ogni angolo, anche se per inerzia o interesse o entrambe le cose non vogliamo vederle.

Siamo in ritardo, e perdiamo altro tempo. Prevale la rassegnazione, che si rovescia in risentimento, verso altri a cui dare la colpa.

Ci occupiamo di cose piccole come fossero grandi e di grandi come se proprio non esistessero. Struzzi, stronzi, anche.

E se lo struzzo sta fermo immobile, vincerà chi l’Italia, “questa qui”, la rappresenta perfettamente. Chi evoca pericoli esterni per non fare mai i conti con se stesso, chi se la prende con la scienza e si fa manifesto di ignoranza, chi spaventa per non far ragionare, chi si affida al buon senso per rassicurare e mietere consenso. Il buon consenso, potremmo dire, che in realtà è il nostro pericolo più grande. La nostra condanna.

Eppure – il secondo, fondamentale «eppure» – lo struzzo si muove, volendo, con uno scatto olimpionico. Non vola, pesa tanto, tantissimo, e però corre come un lampo. E così i suoi cuccioli, a un mese vanno già come un motorino. A guardarli non si direbbe.

Le soluzioni ci sono già e quelle che non ci sono ancora, dobbiamo cercarle, investirci, crederci. E anche noi dobbiamo muoverci. Dall’alto verso il basso, dal basso verso l’alto: di più, in ogni direzione. Attivando relazioni che sono saltate, collaborazione, spazio condiviso da recuperare. Seguendo la strategia dettata dalle competenze scientifiche e da una politica che sappia fare quella cosa per cui l’hanno inventata. Organizzare l’umanità, per salvarla, anche da se stessa.

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