La Fine si avvicina. Quella del mondo, tanto pare non interessare a nessuno. Se ne parli, si infastidiscono pure. Parliamo della fine dell’anno, allora. E speriamo che finisca davvero. Che per magia tutte le cose che nel 2019 sono parse incerte e sfuocate, tornino a essere nitide. Limpide.

Che il 2020 non sia un bis – non me ne voglia il presidente del Consiglio in carica – del 2019. Che si capisca che mentre gli altri continuano a scendere di livello, fino a scavare, tipo sindrome cinese, noialtri si prenda a salire, a fare meglio, a studiare, a usare parole precise e forti e gentili.

Che lo schifo non ci sommerga fino a chiudersi sopra di noi, perché la situazione sta diventando insostenibile.

Che si ascoltino la ragazza svedese e i ragazzini che in ogni parte del mondo si sono ispirati ai suoi venerdì (proprio quel venerdì che ai potenti manca), la senatrice a vita che è  testimone e interprete della libertà dall’odio, il Presidente Sempresialodato e il suo impeccabile stile, che negli Stati Uniti vincano i democratici, che si torni a parlare di grandi sfide, a cambiare i rapporti di forza, a cancellare le schifezze e gli orrori (quei decreti, cazzo), a battersi perché chi ha tanto aiuti chi non ha niente, che insieme si guardi al futuro come a qualcosa da scrivere e non da cancellare. Che torni Silvia Romano da quel nonsisadove in cui è stata inghiottita. Che si faccia luce sul buio fitto che ha avvolto Giulio Regeni. Che chi è nato in Italia o ha fatto qui le scuole elementari con i nostri figli, sia considerato italiano, perché lo è. Che quelle scuole tornino a essere protagoniste, non di polemiche tra ministri, ma di una sfida nazionale. Che qualcuno dica qualcosa contro la guerra, come puntualmente non si è fatto nemmeno quest’anno, abbandonando i curdi a se stessi.

Che i bulli siano isolati nei loro deliri, che si tolga spazio alla frustrazione, che la politica insomma torni quella cosa bella che dovrebbe essere.

In coerenza con questi desideri, continuerò, anzi, continueremo con i libri, dedicati alle persone che li leggono («People are you», abbiamo detto), alle storie che non sono mai piccole, sono sempre universali, ai cambiamenti che vorremmo vedere e a quelli che invece subiamo, perché non accada più.

Auguri, di cuore.

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