Rileggevo Anni di Rame di Erri De Luca, Feltrinelli.

Nelle pagine iniziali ci sono due o tre cose splendide, che ci ricordano che tutto è relazione, che solo insieme si crea qualcosa, che la società dei fenomeni estemporanei ci porterà alla rovina. E probabilmente lo ha già fatto.

«Mancavano i deodoranti, i leghisti, gli aperitivi», ricorda De Luca. Erano anni in cui il paese era attraversato da una «corrente elettropolitica». La politica, precisa De Luca, non era «quella che si produce oggi tra schieramenti di concorrenti che vendono la stesa merce e si accapigliano su sfumature». «L’Italia era» già «meticcia», «per via dei suoi magnifici dialetti».

Un giornalismo scadente ha definito di piombo il settimo e l’ottavo decennio del secolo scorso. Neanche hanno inventato la formula, avendola presa dal titolo di un film, per giunta tedesco.
Era vero per gli idraulici che ancora usavano quell’elemento per gli scarichi dei bagni. Era vero per i tipografi che ancora componevano le pagine con i caratteri di piombo.
A doversi inventare un minerale, scelgo il rame, elemento adatto a trasportare energia elettrica. Anni di rame perché i suoi filamenti conducevano corrente politica ai più lontani angoli d’Italia. Non esisteva la periferia perché ogni punto di scontro sociale conteneva il centro di un urto generale e diffondeva intorno spinta di cambiamento.

Vi ho mentito, però. Le pagine da ritagliare e conservare sono due. Quella dell’immagine qui sopra, quella della citazione. Perché abbiamo bisogno di un albero, che qualcuno ha piantato tempo fa, per ritrovarci. Tutto intorno, tutti intorno.

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