Quando con Marco Tiberi abbiamo scritto Fine, ci siamo chiesti molte volte se non stessimo esagerando. Se non stessimo enfatizzando i problemi, se la nostra immaginazione non ci spingesse troppo in là. Perché volevamo descrivere il presente e il futuro molto prossimo, non viaggiare nella fantascienza.

Dopo aver letto Perdere la Terra. Una storia recente di Nathaniel Ruth, Mondadori, mi sono convinto del contrario.

Nel nostro romanzo la protagonista è figlia di un politico onnipotente che non solo non fa nulla per contrastare i cambiamenti climatici ma guadagna politicamente e economicamente dall’inerzia che impone al proprio governo. Anche la figlia arriva alla necessaria consapevolezza molto, troppo tardi, quando le cose sono già precipitate. Quando a perdere non sarà solo la Terra, ma l’essere umano.

Mi correggo: quando a perdere non è la Terra, ma l’essere umano. Perché non è proprio il caso di usare il futuro, sta già accadendo. Ed è una «storia recente», come scrive Rich, perché è accaduto tutto negli ultimi quaranta, cinquant’anni. Più o meno da quando Marco e io siamo nati, peraltro, a proposito di responsabilità generazionali.

C’è stato un momento, dice Rich, in cui le politiche mondiali sembravano prendere la piega corretta.

E, invece, colpa nella colpa, dopo un’iniziale presa di coscienza si è fatto tutto il contrario di ciò che era necessario. «Gran parte di quello che sappiamo sul riscaldamento globale lo abbiamo capito nel 1979. […] Nel 1979 i punti fondamentali erano stati già delineati in modo incontrovertibile». Ora abbiamo una probabilità su venti di evitare che il riscaldamento globale superi i 2° Celsius. Le conseguenze di un innalzamento di 3 gradi sarebbero irreparabili, «un disastro a breve termine». Più volte, dal 1979 al 1989 le grandi potenze sono state «a un passo dal sottoscrivere un accordo vincolante per ridurre le emissioni di anidride carbonica». Ma non è successo. E dal 2000 al 2016 «l’industria dei combustibili fossili ha speso oltre due miliardi di dollari, una somma dieci volte superiore a quella stanziata dai gruppi ambientalisti, per contrastare la legislazione sul cambiamento climatico».

Dal punto di vista scientifico questa storia inizia a metà dell’Ottocento, con John Tyndall e un lontano antenato di Greta Thunberg, il premio Nobel Arrhenius, che di nome faceva Svante, come il padre di Greta. Da lì muove Rich, in un viaggio che è un romanzo distopico a sua volta, solo che non racconta il futuro, descrive il presente e il recente passato. Ed è tutto tragicamente vero. E chi lo nega, sa di mentire, alla propria comunità, ai propri figli.

#ilibrideglialtri

  •  
  •  
  •  
  •  

Commenti

commenti