C’è una cosa che faccio, che è terribile sotto il profilo commerciale, un disastro. I soci si dissociano da me e io da me stesso.

Quando presento i libri di People, a un certo punto, mi metto a parlare – meglio di quanto non faccia della «nostra fantastica casa editrice» – dei libri degli altri. Delle cose che ho letto, delle pagine che ho apprezzato, degli autori che ho amato e amo.

Tipo che li indico proprio, sugli scaffali. Se parlo di clima, Franzen è su quel bancone, laggiù c’è Mancuso con le sue piante. C’è un tascabile di Diamond e Diamond è per sempre. E quel libro sull’Artico di Neri Pozza, ve ne ho parlato? No, dovete leggerlo, prendete quello!

Se parlo di Langer e l’Europa, dopo pochi minuti sono sul traghetto per Ventotene seguendo Wu Ming 1 e allora la macchina del vento e del tempo mi ricorda H.G. Wells, l’avete letto, Wells, ma come no?

Per le migrazioni, si parte con la Frontiera di Leogrande, e potremmo pure fermarci, perché è un capolavoro, e invece no, mi metto in movimento, e certo ci sono i libri di People, ma senza i libri degli altri i nostri non esisterebbero.

E allora svelo il trucco. Che la cultura è quella cosa che non sta da qualche parte, non è proprietaria, né esclusiva. È per quello che i libri, a volte, li regaliamo proprio, che lo so bene che non si deve fare, ma ci mettiamo nei panni dei lettori. Che speriamo facciano la stessa cosa. Con la cultura si mangia? Non so. Con la cultura si vive e, a volte, si sogna.

E anche se a volte mi pare di essere Walter Mitty, continuerò a parlare dei libri degli altri. L’ultimo Saramago, encoberto e ritrovato? E Bettini che scrive dell’Eneide? E quel libro di Iperborea che racconta dell’ultimo viaggio di Amundsen? Cosa diavolo state aspettando?

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