Forse c’è un equivoco. «Climatico» non è ideologico. L’ideologia ce la mettono quelli che i cambiamenti climatici li negano. E, guarda caso, sono gli stessi che negano le disuguaglianze, che sorvolano sui diritti, che continuano a ridimensionare la portata delle Convenzioni internazionali.

«Climatico» è semmai sociale, economico e quindi politico. Del resto, quella che vedete ogni giorno da tutti gli schermi a cui vi collegate non è politica. La spacciano come tale, ma è il suo esatto contrario. È chiacchiera, è irresponsabilità, è creazione di tensioni e di conflitti dove non ci sono e incapacità di comporli dove si manifestano più duramente, è consenso spiccio, è ricerca di visibilità fine a se stessa, è incoerenza scientifica. Si traduce in promesse che si rovesciano, in progetti che si perdono per strada, in toni altisonanti che puntualmente portano a realizzazioni misere, inutili, che durano lo spazio di un mattino. Anzi, a metà mattinata o le hanno già smentite o le hanno ribaltate.

Non si guarda a ciò che accadrà, ma a ciò che accaduto e, al massimo, a ciò che sta accadendo ora.

Si pensa solo a se stessi, perché così ci hanno insegnato, ed è diventato un fatto antropologico, prima ancora che politico. Eppure nella complessità di un mondo in cui tutto è legato a doppio filo, è da idioti anche solo pensare che ci si possa mettere in salvo da soli. Che la mia felicità possa dipendere, quasi in via esclusiva, dal disagio altrui.

È incredibile come, dopo aver parlato per anni di globalizzazione e delle sue conseguenze sulle persone, non ci rendiamo conto che la prima conseguenza riguarda proprio tutto ciò in cui viviamo. Che non è di qualcuno, o non dovrebbe esserlo. Sì, sto parlando dell’accesso alle risorse naturali, dell’aria, dell’acqua, del suolo, della temperatura. È come se, privatizzando tutto, prima psicologicamente che economicamente, ci fossimo scordati che quasi tutto ciò di cui viviamo è comune.

E, da ultimo, ricordalo un un bel libro dedicato a Robert Francis Kennedy (Thurston Clarke, L’ultima chiamata), a proposito anche di MLK, si legge: «Ai profeti si spara». Noi proprio li abbiamo già eliminati, non li contempliamo, li abbiamo espulsi dalla nostra politica che non lo è.

Senza profezia, senza futuro, e quindi senza investimenti, con un gigantesco debito pubblico che è anche climatico, appunto, verso le prossime generazioni, a che cosa siamo destinati? E se a ciò aggiungiamo un’incompetenza che assurge a modello politico e un andazzo anti-scientifico da far paura, credete che ci salveremo? Sul serio?

Non è solo una politica fatta di fake, è una fake politica, la nostra. Che costruisce un mondo fake, mentre tutto intorno cade a pezzi. Ma che cosa volete che sia. Lo show (business) deve continuare.

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