Concetto Vecchio ha scritto un libro che è insieme una storia personale, familiare, politica. Universale.

È la storia dell’emigrazione italiana in Svizzera, attraverso le testimonianze di molti, a partire dai suoi familiari, ma – soprattutto – dal punto di vista degli svizzeri.

Vecchio ci consegna un dato: gli svizzeri parlavano di noi in modo molto simile a quello in cui oggi noi parliamo dei migranti. E molti li trattavano di conseguenza. E facevano leggi che spesso li discriminavano, solo in ragione della loro provenienza. E li consideravano diversi, in qualche caso irriducibilmente diversi. E non solo a parole.

L’idea del libro è semplice e fortissima. Non stiamo parlando della cattività babilonese o di Annibale: chi attraversava le Alpi lo faceva una generazione fa.

Per la disperazione, per scappare dalla miseria, per cercare un futuro meno angusto e con qualche prospettiva in più di quanto non potesse accadergli in Italia.

Prima furono i settentrionali, a partire. I vicini lombardi ma soprattutto i veneti. Poi i meridionali.

Non si parla del tempo che fu, si parla degli anni Sessanta, quelli del boom, quelli dei Beatles, non di un passato remoto.

E i migranti eravamo noi. I nostri genitori – nel caso di Vecchio proprio i suoi.

E dentro la storia ce n’è un’altra, di traiettoria, che Vecchio ci invita a seguire. È quella di James Schwarzenbach, eletto in Parlamento nel 1967 come esponente di un piccolo partito xenofobo.

Nel 1969 raggiunge il numero di firme necessarie per indire un consultazione, un referendum tra i cittadini per ridurre dal 17 al 10 per cento la percentuale di immigrati presenti in Svizzera, per tutelare l’impiego degli svizzeri («prima gli svizzeri») e restringere a pochissimi la possibilità di diventare cittadini svizzeri.

Si vota nel giugno del 1970. Si parla dell’espulsione di 300.000 persone: in maggioranza molto larga, scrive Vecchio, si tratta di italiani. Percentuale di votanti altissima. Schwarzenbach, che nel frattempo è diventata una star non solo nazionale, perde. 54 per cento per il «no», 46 per il «sì». 100mila voti di scarto.

Scrive Vecchio: «”Ha perso?” chiede mia madre, toccandosi la pancia. Sì, Schwarzenbach ha perso, e io nascerò in Svizzera».

A tanti anni di distanza, è sempre la mamma di Vecchio a dire una cosa che è la chiave di tutto quanto, riflettendo sul fatto che – dopo mille angherie e la possibilità però di farsi una vita – ora in Svizzera gli italiani sono considerati gli stranieri preferiti: «La storia ha fatto il suo corso».

La storia farà il suo corso, anche per noi, anche da noi. Speriamo solo che sia meno dolorosa per molti lavoratori stranieri e per le loro famiglie di quanto non sia stata quella degli italiani in Svizzera. Che ora stanno bene. In Italia, invece, hanno perso la memoria.

P.S.: a pagina 155 del libro c’è un brano di Max Frisch che spiega più cose di tutti gli editoriali e i talk show di questi anni messi assieme. Per saperlo, correte in libreria.

P.S./2: nello spettacolo che abbiamo scritto con Giulio Cavalli, ci sono pagine analoghe. Pagine che provengono dalla stampa, dai quotidiani degli Stati Uniti e dell’Australia e dalla Svizzera, e riguardano i migranti italiani dell’Ottocento e del Novecento. La storia si ripete. Che si ripeta ma in modo migliore, potremmo dire, è il compito delle generazioni che vengono dopo.

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