Con Beatrice Brignone abbiamo partecipato, due giorni fa, a una iniziativa nella mia vecchia università (effetto «Luci a San Siro») che aveva come titolo «La parità non è un lusso».

Si parlava di Iva sugli assorbenti e altre questioni, come il gender pay gap (la disparità salariale legata al genere), che sono state a lungo al centro dell’attenzione del nostro lavoro.

Il titolo mi ha colpito, perché tutto, ormai, è diventato un lusso. La Costituzione, la dignità delle persone, l’umanità. E poi perché tutto è messo in discussione, tranne il lusso.

E allora sono tornato all’etimologia. Perché lusso ha qualcosa a che fare con lo storto, con lo sproporzionato. Tipo quando ci si lussa una spalla.

Recita la voce Treccani:

lusso s. m. [dal lat. luxus -us «sovrabbondanza, eccesso nel modo di vivere», prob. affine all’agg. luxus «slogato, storto», da cui luxare (v. lussare)]. – 1. a. Sfoggio di ricchezza, di sfarzo, di magnificenza; tendenza (anche abituale, come tenore di vita) a spese superflue, incontrollate, per l’acquisto e l’uso di oggetti che, o per la qualità o per l’ornamentazione, non hanno una utilità corrispondente al loro prezzo, e sono volti a soddisfare l’ambizione e la vanità più che un reale bisogno.

Eppure se si parla di progressività, di redistribuzione, di disuguaglianze, pare di essere eretici. Pare di lussare, appunto. E invece è fuori di sesto e storto il mondo, e va stortandosi sempre di più. E a un certo punto, molto presto, si spezzerà, dicono gli scienziati, che proprio sul modello “lussuoso” che abbiamo scelto per il nostro sviluppo e per i nostri stili di vita ci mettono in allarme.

Oggi è venerdì, una ragione in più per non dimenticarlo.

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