Ogni tanto mi vengono in mente quei versi di Michele Serra.

Primo maggio di Portella
erba verde sangue rosso
fucilate fino all’osso
dopoguerra

E penso al valore che si è perso, in questi anni, per quelle battaglie.

Come se non esistesse più lo sfruttamento, come se non fossero aumentate le disuguaglianze, come se i salari non facessero rima con precari, come se addirittura non fosse tornato il cottimo.

Anni in cui è stato moderno e smart togliere diritti e garanzie ai lavoratori, quelli più umili. Anni in cui c’è stata sempre una ragione per abbassare la dignità delle persone, perché non c’erano alternative. Anni in cui si è parlato in modo ossessivo di immigrazione e mai di emigrazione, che ci avrebbe informato molto di più – dal punto di vista quantitativo e anche qualitativo – sullo stato di fragilità e di involuzione del nostro paese. Anni in cui la scuola si orientava al lavoro, che non c’era, quando sarebbe stato importante orientare il paese intero alla scuola, alla formazione, alla ricerca.

Anche oggi, scorrendo le pagine dei giornali, in un Primo maggio che sembra l’Ultimo, per dare lavoro ci si affida a formule magiche, di una politica che il lavoro non lo conosce più. Ne parla in continuazione, non avendone, direbbe Flaiano.

Quasi nessuno coglie più l’urgenza di investimenti nella ricerca, nel sistema adottato da altri paesi (come la Germania, da decenni) per farla crescere in un habitat in cui a un soldo investito corrispondano posti di lavoro e opportunità.

E il grande assente è sempre l’ambiente. L’efficienza energetica, questa sconosciuta, che darebbe da lavorare a scienziati e idraulici, a ingegneri e elettricisti. La mobilità alternativa, sostenuta dalla tecnologia, una tecnologia che – come a Barcellona propone e fa una amministratrice italiana, Francesca Bria – potrebbe essere al servizio dei nostri movimenti (o nel limitarli, quando non servono a niente) ben più di quanto non sia oggi. La riduzione selettiva dei consumi, la scelta di nuovi materiali, la vivibilità che inizia fin dalla produzione.

Si parla molto di identità, a vanvera, ultimo rifugio retrogrado di chi non sa pensare al futuro: manca la creatività (all’Italia!) per immaginare qualcosa di diverso, un paese che può tornare a essere nostro, perché finalmente attraversato da una missione collettiva. Non si parla più di benessere, forse per pudore, forse perché non ci crediamo più. Forse perché, messi così, stiamo male.

Il sangue rosso c’è ancora. Quello che manca è l’erba verde che cresca intorno a noi, per dare lavoro buono a un paese buono, capace di competere con i migliori, tutelando la propria bellezza.

Come per il clima, anche in questo caso sappiamo tutto, abbiamo le proposte, a volte ci sono anche le risorse (poi mancano i decreti attuativi, i regolamenti, le misure di dettaglio, nel nostro eterno carnevale della burocrazia fine a se stessa).

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