Nell’incontro pubblico che abbiamo tenuto a Empoli qualche sera fa, don Massimo Biancalani ha ricordato l’irruzione, un sabato sera, nella sua parrocchia, di una cinquantina di agenti e di rappresentanti delle forze dell’ordine, in occasione della tradizionale «pizza del rifugiato», che il parroco di Vicofaro organizza con i suoi ospiti.

Una pizza sediziosa.

Un dispiegamento di forze impressionante, perché l’obiettivo era appunto fare impressione, tipo film su Escobar, che non ha portato ad alcuna contravvenzione, rilievo o multa che fosse.

Domenico Lucano parla spesso della curiosa situazione in cui si è ritrovata Riace, perché mentre indagavano sul suo modello di accoglienza, il Viminale continuava a inviare persone, proprio quelle persone che altri non volevano, nel piccolo borgo calabrese, come se niente fosse. Tutto è iniziato molto prima che arrivasse Salvini, come ha ricordato a chi, dopo averlo messo in discussione, cita, oggi, il modello Riace.

I volontari del Baobab da mesi, anzi, ormai da anni, chiedono l’intervento delle istituzioni, ribadendo a ogni occasione che la funzione del loro centro tenta di supplire alle mancanze dello Stato, in tutte le sue articolazioni. Chiedono spazi per l’accoglienza, per un rifugio degno a persone che dormono nelle tende, all’addiaccio, in condizioni di estrema precarietà. Lo stesso avevano fatto quando, prima che arrivasse Salvini, sgomberarono piazza Indipendenza.

Come su quel molo di Catania, quest’estate l’ideologia salviniana, che può incedere trionfale sul tappeto (zerbino?) grillino, si abbatte su situazioni tutt’altro che «clandestine», su persone tutt’altro che «opache», su personalità tutt’altro che interessate (voi che parlate di Soros ci siete mai stati al Baobab?): il loro impegno umanitario è dichiarato, rivendicato, dimostrato giorno per giorno. Così come quello delle Ong, sgominate dal governo precedente, che accettò la sfida dei due attuali vicepremier, allora all’opposizione.

E mentre i giornali di oggi dedicano poche righe, parecchio imprecise, al Baobab e allo sgombero, e il ministro dell’Interno fa jogging vestito da poliziotto, questo paese scivola via.

Trieste copia Monfalcone impedendo di fatto ai bambini nati in Italia, figli di operai, di andare a scuola, chi fischia Salvini è fermato dalla polizia, alla Commissione diritti umani del Senato è eletta una rappresentante della Lega ‘ruspante’, i manifestanti sono identificati in autostrada e si controlla cosa c’è scritto sugli striscioni, la giunta di Vicenza toglie l’aggettivo «nazifascista» dall’eccidio nazifascista. Così rimane solo l’eccidio. Anzi, non rimane più nemmeno quello. Si festeggia Bolsonaro, uno che dice di volere la tortura, e se qualcuno va a vedere il film dedicato a Stefano Cucchi, viene identificato.

Il Senato ha votato, con fiducia, un decreto sicurezza che porterà al suo contrario: un decreto in contrasto con la Costituzione e con lo stesso «contratto di governo». Un articolo, aggiunto su iniziativa del governo, prevede la galera per chi chiede la carità. Gruppuscoli fascisti si dichiarano amici del capo di uno dei partiti al governo, mentre gli altri, quelli del cambiamento, fanno finta di niente, anzi passano il tempo a spiegare che il fascismo non c’è. Il fascismo non c’è, nel frattempo loro segnalano i giornalisti buoni, quelli cattivi sono «puttane»: cose sudamericane, si direbbe, pensando a qualche regime del passato e a un viaggio, che è passato dai diari della motocicletta alle matite spezzate.

Il sistema dell’informazione enfatizza l’aggettivo straniero ogni volta che è commesso un crimine, derubricando quelli di casa nostra. Le nostre donne vanno difese, ma solo dagli uomini stranieri, quelli italiani possono continuare a fare i loro porci comodi. E i nemici sono Lucano, Biancalani, il Baobab. Senza di loro, questo paese sarebbe fantastico, pare di capire. Loro sono da punire, tutto il resto, invece, va bene così.

  •  
  •  
  •  
  •  

Commenti

commenti