Nella storia che racconta Trump la ragione per cui le famiglie lavoratrici pescano sempre la pagliuzza più corta, non va ricercata nelle decisioni che lui e i suoi amici prendono ogni giorno a Washington. Secondo Trump il problema sono altre persone che lavorano, di solito dalla pelle scura, e che sono nate in un altro paese. Persone che non indossano gli stessi vestiti e non parlano la stessa lingua di Trump e dei suoi amici. Questa storia la vende in tutti i gusti: razzismo, sessismo, omofobia, xenofobia. La vende in diverse forme: feroci attacchi personali, facendo il troll su Twitter, strizzando l’occhio ai suprematisti bianchi.

È tutto riconducibile allo stesso obiettivo: dividere, mettere i lavoratori neri contro quelli bianchi, così che non possano unirsi, dire agli americani di non fidarsi gli uni degli altri, di temersi l’un l’altro, di odiarsi l’un l’altro.
Così, mentre sono impegnati a fare quello, lui e Mitch McConnell possono saccheggiare il Tesoro e dare mille miliardi di dollari ai loro amici ricchi, e possono distruggere il sistema sanitario e la previdenza sociale.
Vogliono che puntiamo il dito gli uni contro gli altri, per distrarci mentre infilano le mani nelle nostre tasche.

Questa storia deve finire. Deve finire qui, con questo movimento e con queste elezioni. È ora di dire basta alle politiche della divisione, di dire no all’orrendo uso del bigottismo e della paura. Dobbiamo dire «no, non ci dividerete, siamo qui per unire le famiglie lavoratrici e per pretendere un governo che lavori per tutte e tutti noi».

Ecco per cosa ci battiamo: per portare la nostra resistenza a Washington e per portare le voci delle lavoratrici e dei lavoratori d’America con noi.

Sono parole di Elizabeth Warren. Il resto lo trovate in Per cosa ci battiamo.

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