Le regole o, se preferite, le leggi generali della digitalizzazione, secondo l’«opzione Estonia», sono le seguenti:

visione d’insieme, consapevolezza della classe dirigente (tutta), tempi lunghi (superiori ai tempi stretti delle legislature e alle carriere personali di questo o quel leader), volontà politica e costanza nella missione che si sceglie, investimenti pubblici programmati, capacità di intervenire di fronte ai problemi, come l’immancabile falena (sì, il bug) che blocca il processo.

La parola chiave però è sempre cultura, aiutata dalla sua sorellina, la formazione: perché la consapevolezza si estenda, perché il cambiamento sia condiviso, perché siano gli stessi destinatari del «servizio» a rendersi protagonisti della sua diffusione e della sua crescita, in termini sia quantitativi sia qualitativi.

Nessun editto cambierà mai le cose, nessuna «riforma» calata dall’alto potrà mai funzionare. E la cultura inizia dalle scuole, in tutti i sensi, perché sono le nuove generazioni, in casi come questi, a insegnare a chi ha qualche anno di più.

Così hanno inteso fare in Estonia, ormai vent’anni fa, preoccupandosi di informatizzare prima di tutto le scuole, per poi dare voce e spazio alle università e alle loro competenze e infine creando un diffuso programma di formazione per chi era già adulto, mentre i ragazzi digitalizzati diventavano grandi. Per Linnar Viik della eGovernance Academy è stato questo il primo, fondamentale passo per la diffusione della cultura digitale.

Come potete capire, ciò che vale per la digitalizzazione dovrebbe valere per la politica in generale. Con una visione d’insieme una pratica che alle nostre latitudini sembrano entrambe mancare. Con una prospettiva che indichi un percorso e un percorso che conti sul «passo dopo passo», senza esagerare con la retorica, che può rovinare tutto quanto, senza darsi obiettivi irrealizzabili, uscendo per sempre dalla propaganda elettorale.

Regole o, se preferite, leggi che valgono per la politica in generale perché è il fattore culturale a determinare qualsiasi cambiamento. E comporta che siano in gioco tutti gli altri elementi citati, condizioni senza le quali non è possibile immaginare nulla di diverso da ciò che abbiamo già. In Italia, Massimo Mantellini ha perso la voce a furia di «gridare» perché si avviasse quella trasformazione culturale che in fondo è mancata. Clamorosamente. E che, mancando, ha finora condizionato tutto il resto.

Fine delle leggi generali della digitalizzazione, secondo l’«opzione Estonia».

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