Ci voleva un romanzo per raccontare l’emigrazione che diventa immigrazione, l’incontro delle povertà, lo spaesamento di un paese già spaesato di suo, la giovinezza del mondo e la nostra vecchiaia.

Ci voleva uno scrittore che prende in prestito il titolo da Pasolini per raccontare una storia bella e dolce, fatta di perdite e di nostalgie (che si rovesciano in nostalgie di futuro), di incontri tra nuovi e antichissimi braccianti, che si sono scambiati il posto, del loro scontro che in alcuni casi diventa un incontro.

Nella Basilicata di Catozzella sono tutti, in fondo, e fin dall’inizio, migranti. Lo sono i piccoli protagonisti, per cui una vacanza – dolorosa, perché hanno perso la mamma – diventa una migrazione. Lo è il loro papà, che vive con loro al Nord. Lo è lo zio che ha i figli in America e sa che non torneranno. Lo sono i «nuovi» che arrivano. «Figli dell’emigrazione», come scrive lo stesso Catozzella, alle prese con la necessità di farsi accogliere, dagli altri e dal mondo in cui crescono. Rispecchiandosi nelle vite, gli uni con gli altri. Emigrati. Dappertutto.

Ci voleva un romanzo così. E ci voleva anche la dedica a Alessandro Leogrande, con lo sguardo rivolto a Sud, con umanità e intelligenza.

Giuseppe Catozzella, E tu splendi, Feltrinelli.

Per le altre letture e le altre visioni, vedi qui.

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