Ci sono i fascisti e ci sono fakisti. Spesso i due fenomeni si presentano contemporaneamente ma il fakismo è molto più diffuso.

Un senatore del partito del governo ha pubblicato una conversazione tra il poliziotto che invitava a spaccare braccia ai rifugiati riottosi tra piazza Indipendenza e la stazione Termini e i suoi uomini – in cui emergeva un’argomentazione complessa, ma non meno delirante – che semplicemente non c’è mai stata. Un falso. Letterario e politico. Fanpage, che aveva pubblicato il video (la conversazione era registrata), ha demolito questa invenzione nel giro di pochi tweet.

Spesso il fakista è anche odiatore: odio e fake sono fratelli. Nel ricordare Enzo Baldoni, Massimo Mantellini ha ripubblicato la prima pagina di un giornale che lo prese di mira, il giorno del suo sequestro.

Ci sono intellettuali e dirigenti politici e giornalisti che discettano pubblicamente del cosiddetto piano Kalergi, che non ha nessun riferimento con la realtà e l’unica cosa che fa venire in mente è il Protocollo dei savi di Sion. Il «piano» peraltro deve la propria recente fortuna allo ‘studio’ di uno storico con simpatie naziste. Tutto normalissimo.

Ci sono direttori di giornale e leader politici che passano la loro misera vita ad attaccare la «chimera» Boldrini, attribuendole ogni sorta di colpa e di responsabilità, con un linguaggio violento, infamante, da stronzi. Una vera e propria caccia alla strega, basata puntualmente su false informazioni, iperboli, invenzioni di insana pianta.

Ci sono episodi generalizzati, sfoghi che diventano editoriali, campagne discriminatorie che si trasformano in questioni politiche, come l’incredibile vicenda di un prete di Pistoia colpevole di avere pubblicato una foto di ragazzi neri in piscina.

Se cercate i fakisti non prendetevela con gli anonimi del web se prima non avete passato in rassegna la classe dirigente, quella che c’è e quella che si candida a sostituirla. Che legittima invenzioni o, peggio, inventa in proprio cose che non stanno né in cielo né in terra, per fare notizia e avvicinarsi così al potere.

Il fakismo è contagioso: a poco a poco, quasi tutto si riduce a una battaglia di fake, in cui la verità (con la «v» minuscola, ovviamente) non interessa più a nessuno, perché importa soltanto il tono (e il volume) delle dichiarazioni e delle immagini.

D’altra parte, a chi evoca la censura, ricordiamo ancora una volta che è preferibile una battaglia culturale, vera e propria. Fatta di controinformazione e di mobilitazione. Che il caso di fare: antifa sta per antifascista e anche per antifakista, perché non è certo con lo stesso linguaggio e con lo stesso metodo che si deve rispondere se si vogliono rimettere a posto, almeno in parte, le cose.

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