Da mesi cerco di spiegare che non si fa l’unità per l’unità, ma per cambiare l’Italia.

E che l’unità si fa sulle cose, le questioni, le «real issues», il «manifesto», ditelo come volete: però non c’è unità senza autonomia (da tutto il resto) e senza un progetto che si distingua per qualità, precisione, rigore.

Stefano Schwarz lo dice con semplicità e precisione.

Però, il tema trascende le questioni più politiche, per non dire politicistiche.

Perché un progetto il più possibile corale e plurale, rompe con le personalità assolute e divisive – quasi tutte extraparlamentari, peraltro – che sono state finora le protagoniste della politica italiana.

Dividono, polarizzano, spaccano: con il risultato che qualcuno ha provato a spezzare (cit.) la Costituzione, altri hanno contribuito a dividere il paese più di quanto non lo fosse già.

Contrappongono tifoserie, usano in continuazione lo schema dello «specchio riflesso», demonizzano gli avversari a prescindere dagli argomenti e dalle posizioni di partenza, che si possono tranquillamente scambiare e che, come accade sull’immigrazione, alla fine diventano molto simili tra loro, praticamente identiche.

C’è bisogno di informazione, relazione, trasparenza e spiegazione, per collegare questo tessuto strappato, a livello culturale e sociale e economico. Mettere gli uni contro gli altri, alla fine, porta a un logoramento complessivo del «sistema»: che in questi giorni in molti se la prendano con i bambini e i ragazzini stranieri-ma-invece-italiani la dice lunga sulla situazione che stiamo attraversando. La politica dovrebbe portare alla costituzione di un nuovo patto sociale, su basi più avanzate, non continuare a speculare sulle divisioni e ad allargare le fratture.

C’è bisogno di qualcosa che rompa questo schema, di una squadra di persone che si raccolga intorno a queste idee, che sia conflittuale con i problemi e con le disuguaglianze ben più di quanto non lo sia verso gli altri attori politici in campo.

Che sia possibile, è possibile. Per farlo, basta volerlo.

 

 

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