«Prima del diluvio», della fine, dell’apocalisse: lo scrive il New York Magazine.

Gufi mondiali, cosmici, planetari, si dirà.

La posta in palio fa pensare che l’Italia, per prima, si debba muovere, finalmente, perché la sfida della transizione ecologica e energetica può essere quella che qualifica il nostro paese: per salvarci dal diluvio e per diventare competitivi e per dare lavoro. Pensieri a lungo termine e politica industriale diffusa e partecipata dalla cittadinanza a breve e medio termine.

Energia pulita, sbloccando l’autoproduzione e lo scambio tra vicini; efficienza energetica per valorizzare il nostro patrimonio edilizio e risparmiare energia; nuovi materiali e nuove soluzioni per i prodotti e per i processi produttivi; una strategia per la mobilità che ancora non c’è; l’economia circolare per evitare che sia «buttato» anche il futuro.

Per farlo, ci vuole scuola, ricerca e quell’«estensione della consapevolezza» rispetto a costumi e consumi di cui parla il ‘visionario’ Vito Gulli.

Al posto di ministri incerti e balbettanti capaci solo di scelte vetero-fossili, ci vuole una politica diversa. Capace di muovere le istituzioni a tutti i livelli, di mobilitare risorse pubbliche e private, di usare le piattaforme dell’innovazione perché siano virtuose sotto il profilo ambientale e sociale che non sono affatto contrapposte.

Ce lo dice la logica, ce lo ricorda il termometro.

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