La traccia del mio intervento oggi, alla Camera dei deputati, sul ddl Concorrenza.

Intervengo per annunciare il voto contrario del gruppo di Sinistra Italiana e di Possibile. Aggiungo, a titolo personale, con dispiacere.

Perché sono tra coloro che a sinistra individuano nella concorrenza e nella promozione della concorrenza leale un elemento fondamentale non solo per la qualità del sistema economico, ma per la possibilità di concorrere da parte di tutti, la riduzione stessa delle disuguaglianze e l’apertura della nostra società, non solo dal punto di vista dell’impresa e dei consumatori, ma della cittadinanza nel suo complesso.

La concorrenza dovrebbe spingere dal basso verso l’alto chi attualmente non ha aderenze, amicizie, accesso, ampliando l’offerta per i consumatori, premiando chi si impegna, chi rischia e chi investe, grazie all’apertura dei mercati regolamentata in modo da evitare privilegi, soprattutto nel paese delle rendite e delle concentrazioni asimmetriche.

Rendite e concentrazioni di cui hanno fatto tesoro (in senso proprio) molti sedicenti “liberali” per i quali il liberalismo significa farsi gli “affari” propri.

In questo senso, il testo che ci apprestiamo a votare rappresenta una ulteriore grande occasione mancata. Una legge tardiva (sarebbe una legge annuale che però è in discussione appunto da due anni), timida, manchevole, controproducente proprio negli obiettivi che dichiara e che invece impedisce al paese di raggiungere.

Una vera odissea iniziata il 20 febbraio del 2015 e determinata soprattutto dalle divisioni della maggioranza che riporta il ddl al Senato.

Ai Calenda si risponde con le calende, greche.

Avrei compreso – non condiviso, sia chiaro – una votazione «finale», dopo tanto tempo, e c’è chi sospetta all’interno della stessa maggioranza che sotto sotto non ci sia che un intento dilatorio.

Ciò che mi preme sottolineare è che l’intervento di Bersani – che d’ora in poi dovremmo chiamare Bertani, in ragione della citazione che ha portato qui in aula – dimostra come si sia perduto lo spirito di una intera tradizione politica, dal momento che si registra un «passo indietro» rispetto a ciò che si era tentato di fare in altri momenti della storia della Repubblica, sul tema forse più delicato, che riguarda i farmaci e l’accesso alle cure dei cittadini, nonché la regolamentazione di un settore tetragono di fronte a qualsiasi proposta di apertura.

Una liberalizzazione dei farmaci di fascia C avrebbe comportato risparmi per 500 milioni l’anno, la creazione di nuove aziende e di posti di lavoro. Ma evidentemente secondo la maggioranza non ne abbiamo bisogno.

Occasioni mancate anche perché in alcuni settori la società è molto più avanti della discussione che si è tenuta sin qui, e cito a questo proposito un nostro emendamento che interveniva sui sistemi di distribuzione chiusi per incentivare l’autoproduzione e la promozione delle rinnovabili e dell’efficienza energetica.

Come è accaduto spesso in questa legislatura il titolo della legge non si ritrova nel suo contenuto. Ed è per questo che questo paese continuerà a perdere appuntamenti e competitività: non ci si poteva aspettare molto di più da un cartello politico che mischia destra e sinistra, cambiamento spesso immaginario e conservazione quasi sempre plasticamente rappresentata.

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