Avrete saputo che la pattuglia di gasparrosi avversari della legalizzazione, sbandieratori dell’ipocrisia giovanardesca, lorenzinici amici del proibizionismo si sono molto indispettiti perché il personaggio della serie tv più popolare del momento si fa le canne. Per Rocco Schiavone si tratta della «preghiera laica del mattino», espressione mutuata da Hegel, che però si riferiva alla lettura dei giornali.

Inconcepibile che Rocco faccia uso di cannabis, come accade – dicono le statistiche – a cinque milioni di italiani. Che magari non ne assumono tutti i giorni, ma ne fanno uso, appunto, pur avendo vite normali, comuni, da «perfetti cittadini».

Ma l’aspetto più gustoso è che la politica intervenga su una fiction che evidentemente non conosce affatto. Perché tutta la struttura narrativa dei romanzi di Manzini – colpiti dalla ramanzina di Gasparri – muove dal suo trasferimento ad Aosta, voluto proprio da un politico potente.

Ironia della sorte o vera e propria nemesi letteraria, in cui incorrono i malcapitati conservatori che fanno di ogni erba un fascio (metafora influente, in questo e altri casi).

Noi continueremo a leggere Manzini, a guardare Rocco Schiavone e a pensare che la cannabis andrebbe affrontata con parole, prese di posizioni e soprattutto cultura diverse.

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