A corto di promesse da mantenere e al limite umananente sostenibile di quelle non mantenute, ora pare che il premier, in caso di sconfitta al referendum, non si dimetterebbe. Fa capire che si andrebbe avanti fino a fine legislatura, comunque. E che andrebbe avanti lui, comunque.

Tanti e tali sono i cambiamenti di rotta dettati dalla tattica – dalle dimissioni in blocco che poi però non erano mica vere all'attacco a chi vota no perché deligittimerebbe il Parlamento, dalla falsa moltiplicazione delle risorse risparmiate agli slogan che non corrispondono mai alla sostanza – la campagna referendaria in atto si presenta come la più lontana possibile dalla Costituzione e dal suo spirito.

Tutto si può spiegare diversamente e serenamente: non avendo condiviso le riforme con un numero sufficiente di forze politiche e di parlamentari, la Costituzione prevede che vi possa essere un referendum. Che può benissimo smentire quanto è stato fatto, come è capitato in occasione dell'ultima riforma epocale, quella di dieci anni fa (a proposito dei trent'anni senza riforme, altra balla totale).

Il referendum è complessivo perché è stato scelto di fare una sola legge di riforma, mettendo insieme tutto quanto, come se si trattasse di un disegno coerente, che invece è pieno di incoerenze. Se si voleva spacchettare, insomma, si sarebbe potuto fare in precedenza (problema che ci si era posti ai tempi del governo Letta).

Il giudizio per il quale si associa così direttamente il governo alle riforme dipende dal fatto che si sia voluto procedere a spron battuto senza mai coinvolgere le vere opposizioni nel dibattito di riforma costituzionale, avvenuto a botte di maggioranza (e a botte da orbi, in tutti i sensi, tra canguri, sedute-fiume e, in parallelo, fiducia sulla legge elettorale).

Nessuno aveva chiesto niente al premier, ai suoi ministri e ai suoi parlamentari, peraltro, rispetto alla durata della legislatura che, lo ricordiamo, è stata 'prolungata' per decisione politica proprio nel momento in cui il premier attuale ha sostituito il precedente.

Tanto rumore per nulla, insomma: quando i toni si abbasseranno si scoprirà soltanto che il testo è confuso, pasticciato e rappresenta una colossale occasione mancata. Che non corrisponde al no al referendum, ma al lavoro che è stato fatto prima, promuovendo una riforma che poteva essere più semplice, più lineare, più convincente e perciò più condivisa. Avendo il sostegno necessario in Parlamento. Costituzionalizzando, potremmo dire, senza personalizzare proprio nulla.

 

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