Antonio Sicilia ne parla come di uno #SteveJobsAct clamorosamente mancato e mi scrive:

«Apple aprirà a Napoli una bella realtà di innovazione con circa 600 persone» queste le parole del premier, risalenti a qualche giorno fa. Da qui un susseguirsi di titoloni, da “la Silicon Valley si sposta sul golfo” a “Apple punta su Napoli, 600 nuovi posti di lavoro”. Pare che ci fossero già le pizze fatte come la mela della Apple.

Si tratta di una storia a cui sarebbe stato necessario far precedere un cospicuo antefatto (che trovate qui):

la Apple doveva al fisco italiano qualcosa come 880 milioni di euro di mancati pagamenti Ires, a causa di quella che in gergo tecnico si chiama “estero-vestizione” – vendo in Italia, fatturo in Irlanda, per i profani. Che lo scorso 30 novembre si è accordata col fisco italiano per pagarne solamente 318. E che l’Italia è l’unico Paese europeo che ha accettato un concordato fiscale con la multinazionale americana, abbandonando ogni pretesa nei suoi confronti.

Sembrava però in ogni caso una buona notizia, con cui fare poltiglia dei gufi. E invece, oggi Massimo Sideri, tra le pagine del Corriere della Sera, smaschera finalmente questo malinteso che ha creato a Napoli 600 posti di lavoro inesistenti:

Quei 600 posti di lavoro – che ormai sono scolpiti nella testa di molti come sulla pietra – non ci saranno: il numero è quello degli studenti che verranno selezionati per seguire, nella struttura di una società partner, i corsi di sviluppo sul sistema operativo iOs, cioè quello dell’iPhone/iPad/iWatch. Toccherà a loro dopo il corso cercarsi un’occupazione che però, in quanto sviluppatori, sarà probabilmente non un vero «posto di lavoro», almeno per come tutti noi intendiamo il termine. Basti pensare che in Italia risultano registrati su iOs 264 mila sviluppatori, di cui per la Apple stessa solo 75 mila sono operativi. Va aggiunto che avere delle entrate stabili è molto dura: pochissimi ci riescono e dipendono comunque da una app di successo che ha una vita media di pochi mesi. I 600 posti sono quindi 600 studenti speranzosi.

Si tratta a mio parere di uno dei più significativi esempi della pericolosa vacuità della propaganda dell’attuale premier, soprattutto in tema di lavoro e occupazione, con un uso spregiudicato dei numeri e la totale mancanza di responsabilità verso il Paese.

Come spesso accade, anche in questa spiacevole storia delle 600 persone (che però non lavorano), il Governo ha anteposto il tornaconto elettorale alla verità dei fatti.

Gufo, gufetto, chiamatemi come volete. Intanto la realtà continua a fare opposizione al governo Renzi.

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