Gianfranco Pasquino riprende Marco Valbruzzi per le statistiche sul trasformismo contemporaneo, che non riguarda più (e da tempo) i singoli parlamentari, ma il quadro politico complessivo (cfr. Cittadini senza scettro, p. 78).

La legislatura, come abbiamo visto, prosegue solo in virtù di una scissione fondamentale e di altre scissioni più piccole: la scissione originaria ha riguardato il Pdl, che si è diviso in Forza Italia e Ncd (che poi è diventato Area popolare, associandosi all’Udc e ad altre forze, che alle elezioni si erano presentate con Monti). Senza questa scissione non ci sarebbe l’attuale governo. Senza le scissioni successive questa maggioranza posticcia (nel senso etimologico) non avrebbe i numeri per le riforme. E la garanzia delle stesse è fornita da un gruppo di parlamentari non bene precisato che si richiama a Verdini, che attualmente è all’opposizione ma pronto a diventare maggioranza alla bisogna.

Tutto quello che accade a livello parlamentare ha ovvi riflessi anche a livello locale: in Sicilia esponenti delle giunte Cuffaro e Lombardo entrano in maggioranza con Crocetta e qualcuno addirittura nel Pd, ad Agrigento alle primarie del centrosinistra partecipa e vince un esponente di Forza Italia, accompagnato dal nuovo presidente regionale del Pd che proviene dall’Udc. Ritorna pure Cosimo Mele, sostenuto un po’ da tutti nella città di cui è già sindaco.

Nel gruppo del Pd si sta risolvendo la questione della legge elettorale, di cui tra un po’ non avremo più bisogno, perché tutti a poco a poco entreranno nel Pd: da esponenti che in passato sono stati capigruppo di Rifondazione a destri naturali e si conta anche il primo grillino a essere passato nel Pd.

In tutto questo i sostenitori della maggioranza del Pd sono settimane che chiedono che chi esce dal Pd si dimetta. Cofferati e Pastorino i casi più celebri: loro se ne devono andare dal Parlamento (europeo e italiano) perché sono usciti dal Pd, in coerenza con il mandato ricevuto (mandato che non si capisce più che cosa sia, essendo cambiato più o meno tutto nelle intenzioni e nelle proposte del Pd dal 2013 a oggi). Ora, l’argomento c’è, ma è immediatamente reversibile: se si deve dimettere chi esce, si deve dimettere anche chi entra.

O forse potremmo fare un patto: se si dimette l’unico parlamentare del Pd che sia uscito dal gruppo (parecchio controcorrente), facciamo che si dimettono anche tutti gli altri e andiamo a votare, aggiornando finalmente il patto con i cittadini, già abbondantemente travisato?

Perché la logica ha una sua logica: accusare di tradimento chi si muove in Parlamento dopo che si è mosso tutto quanto, che è cambiato il profilo di tutto e di tutti, che la maggioranza è sostenuta e salvata da senatori come Formigoni e Giovanardi (che non sono certo parte del nostro mandato elettorale, avendone ricevuto un altro) ha veramente poco senso.

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