Il contributo di Vittorio Emiliani per Articolo 21:

In uno dei suoi ultimi interessanti blog per il “Fatto” Stefano Balassone, nostro compagno di ventura nel CdA Rai dal 1998 al 2002, commentando le linee della “riforma” Renzi, scrive che “il grosso delle nomine per i vertici Rai sarà fatto dal Parlamento e dal Governo. Come avviene, più o meno, ovunque per tutte le aziende del servizio pubblico televisivo.” Poi però spiega che per la Bbc le cose vanno in modo diverso, con la Fondazione e altro. Mentre noi, “a meno di una zampata in stile britannico, vivremo periodicamente la liturgia dei “nuovi vertici” per nuove condizioni politiche.” Quindi una piena conferma della “diversità” britannica.

La quale peraltro non è la sola. In Francia infatti esiste un organismo sovraordinato chiamato Conseil Superieur de l’Audiovisuel, autorità autonoma e indipendente, composto da 9 membri, nominati, tre ciascuno, dai presidenti della Repubblica, del Senato e dell’Assemblea, rinnovati ogni due anni, i quali a loro volta designano una parte determinante del CdA di France Télévision, la tv pubblica (France2, France3, France5). Se in Italia si fosse proseguito sulla strada tracciata con la legge n. 206 del 1993 con la quale i presidenti delle Camere sceglievano i 5 componenti del CdA Rai (presidente incluso) estendendo al presidente della Repubblica quel diritto, si sarebbe costruito un “cordone sanitario” istituzionale attorno al consiglio di gestione della radiotelevisione di Stato, anche dopo l’autoscioglimento dell’Iri. Invece la sinistra non seppe decidere nulla e finì come finì, con la pessima legge Gasparri, tuttora vigente.

In Germania il sistema di garanzia delle due emittenti pubbliche, Ard e Zdf, è piuttosto complesso, costruito con la presenza di rappresentanti dei Laender, specie per Ard (che appartiene ai Laender), da esponenti importanti della società civile nel Rundfunkrat il quale sceglie il direttore generale (Intendant) e il CdA costituendo un organismo consultivo e di indirizzo per l’Intendant.

Il direttore generale di Zdf, tanto per fare un esempio di stabilità, è durato un ventennio. In Svezia, a quanto mi risulta, esiste una Fondazione del tipo Bbc eletta dal Parlamento, la quale però gode di grande autonomia sia nelle nomine dei direttori che nel controllo dei programmi. In tutti questi Paesi i due pilastri dell’autonomia gestionale delle emittenti pubbliche sono gli organismi sopradescritti e canoni molto più consistenti e meno evasi di quello italiano: 130 euro in Francia, circa 180-183 in Gran Bretagna, 215 in Germania, oltre 300 in genere in Scandinavia (superata da Svizzera e Islanda). Ovviamente il ricorso alla pubblicità è molto ridotto (20 minuti soltanto al giorno per Ard e Zdf) e con esso la commercializzazione dei programmi. Come si sa, Bbc non ha pubblicità di sorta, a parte Channel 4 canale pay.

In materia di organismi di garanzia e di canone, non mi pare proprio che Matteo Renzi intenda seguire questi esempi europei, ma ancorare invece la governance della radiotelevisione pubblica al governo (come e più di ora) e ai partiti presenti in Parlamento. Mentre il canone vorrebbe ridurlo o azzerarlo. Un Paese europeo che ha abolito il canone sostituendolo con uno stanziamento annuale del governo è l’Olanda dove l’emittente pubblica si è trovata ad essere il bersaglio dei partiti e dei governi populisti con continue riduzioni degli stanziamenti e con un’autonomia finita chissà dove.

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