Pare che la segreteria nazionale del Pd abbia già precisato – in dichiarazioni e interviste tranchant dei suoi esponenti – che il reddito di cittadinanza (che non è un «reddito di cittadinanza», ma un «reddito minimo garantito», ma tant'è) proposto dal M5s (e anche da Sel e anche da me, fin dal Congresso del Pd, si parva licet) sia una proposta campata per aria, che è «solo propaganda».

A me sembra una risposta sbagliata, anche perché – per i ceti medio-bassi – noi quest'anno spendiamo 10 miliardi di euro, con i famosi 80 euro (che vanno anche a chi sta bene in famiglia, perché non c'è stato verso di cambiare una virgola della legge di stabilità, sul punto). E sappiamo che l'operazione è finanziata con il debito e con i tagli degli enti locali, riducendo peraltro i servizi per tutti, anche per quelli che gli 80 euro non li prendono, perché sono più poveri.

Capisco che nella narrazione di queste settimane, alle prese con la crescita e con risultati minimi spacciati per svolte epocali, la povertà c'entri poco, ma è proprio questo il problema. Continuare a negare il problema, a sottovalutarlo, a dare risalto solo alle controindicazioni, è una scelta politica, che non solo non è di sinistra, è proprio limitata: perché non coglie la necessità di investire sull'uguaglianza e sulla redistribuzione anche per favorire la crescita (una crescita sostenibile e diffusa) e perché risolve in poche battute un problema reale – e radicale – di milioni di cittadini.

Personalmente presenterò un pacchetto di proposte molto definite tra qualche giorno (il 18 marzo, a Roma). Spero che non ci siano le solite alzate di spalle e che qualcuno voglia discuterne seriamente. E se non vorrà farlo il governo e il Pd, c'è sempre il Parlamento e l'opinione pubblica, che secondo me è molto interessata.

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