Come sapete, in Sicilia si sta manifestando, nelle forme più esasperate, il più classico dei fenomeni trasformistici. Le stesse persone a cui il centrosinistra si è opposto per anni, che hanno governato nelle giunte e con le maggioranze di Cuffaro e Lombardo, ora fanno il loro ingresso – trionfale – nel Pd. Dall’altra parte – a ogni azione ne corrisponde una, forse non uguale, ma certamente contraria – molti elettori e militanti che non si riconoscono più in un progetto politico che ritengono ormai compromesso.

Il problema più profondo non è solo quello di registrare una questione etico-politica (certi personaggi sono molto discutibili, anzi: non andrebbero proprio discussi) e non riguarda soltanto lo spostamento a destra del Pd e quindi di tutto il sistema politico, che è la naturale conseguenza qualsiasi tipo di larga intesa, come ripetiamo da tempo. Questo è un problema, per molti insuperabile, siamo d’accordo. Ma non è nemmeno il problema più grande, rappresentato da un fatto ancora più pericoloso.

Ve lo rappresento così, come Valentina Spata e Erasmo Palazzotto me lo stanno raccontando in queste ore: se tutti stanno insieme, non ci sono più alternative, non c’è più alternanza, non c’è più una minoranza che controlla una maggioranza, c’è solo uno scambio, non più il confronto. E la democrazia, così, non funziona più.

Leggo che i dirigenti del Pd siciliano dicono che il 61 a zero di qualche anno fa si è ribaltato e che ora è tutto a nostro favore. Senza distinzioni, senza articolazioni, senza contrasti. Questo è il problema più grande. Non saperlo riconoscere, e anzi enfatizzarlo come fatto positivo, è la cosa più grave. Rispetto alla quale non è solo comprensibile, ma è giusto – dal punto di vista democratico e repubblicano – ribellarsi.

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