Andrea Pertici, riprendendo il nostro Appartiene al popolo, interviene sulla questione dei ribelli, parassiti, ecc.

La polemica sulla cosiddetta “ribellione” nel Pd, come al solito, è affrontata in una prospettiva totalmente rovesciata rispetto a quella propria dell’ordinamento costituzionale vigente. Non considera che a rappresentare la nazione, il popolo, sono i parlamentari. E non i segretari di partito. E che per evitare che una o poche persone (che nessuno, tra l’altro, immaginava, che potessero non essere state elette) potessero dominare il Parlamento è stato inserito nella Costituzione il divieto di mandato imperativo.

Grazie a questo ogni parlamentare appartiene al popolo e non al segretario del partito. Certamente, i parlamentari fanno anche parte di un partito e di un gruppo, che quindi dovrebbero assumere una linea solo dopo averli consultati e coinvolti nella decisione. Una decisione collegiale, che dovrebbe essere quella in grado di ottenere la più ampia maggioranza del gruppo, con la partecipazione di tutti. Non è possibile, invece, che un leader, semmai con qualche fidatissimo dirigente, possa assumere una linea da imporre poi ai parlamentari.

Questo significa, infatti, dare applicazione, più che al principio di maggioranza, a quello della clava.

Come scriviamo in Appartiene al Popolo (pp. 90-91), infatti,
la regola della maggioranza deve essere usata con molta cautela, senza violare il diritto a un’autentica possibilità per tutti di incidere sulla decisione finale attraverso la partecipazione – reale – alla discussione e alla deliberazione.

«Ciascun ateniese aveva e sentiva di avere un’uguale opportunità di dimostrare la propria eccellenza, e accettava il verdetto dell’assemblea mettendo in conto che era giusto, non perché coincideva con quel che egli pensava, ma perché era stato raggiunto anche mediante la sua partecipazione, nonostante questa si fosse materializzata con un voto contrario al suo. […] La libertà politica della democrazia non si misura dai risultati ma dal suo esercizio, che è fare e rifare le decisioni insieme agli altri» (Nadia Urbinati, Democrazia in diretta. Le nuove forme di rappresentanza, Feltrinelli, Milano 2013, riprendendo Mogens Herman Hansen, The Athenian Democracy in the Age of Demosthenes, Blackwell, Oxford 1993).

E, in effetti, «la democrazia non è però da identificare con il principio della maggioranza che vince sulla minoranza, ma piuttosto con le possibilità offerte, nel corso del processo democratico, a diversi punti di vista di confrontarsi e reciprocamente trasformarsi» (Donatella Della Porta, Democrazie, Il Mulino, Bologna 2011, p.12).

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