Allora, ricapitoliamo: due anni fa non si riuscì a fare un governo per approvare una nuova legge elettorale e alcune poche cose con il sostegno (anche esterno) dei 5s e se ne fece uno con Berlusconi (molto interno) per fare anche la riforma della Costituzione, sanare i problemi economici del Paese (sì, ciao) e fare un sacco di riforme bipartisan grazie alla collaborazione feconda degli avversari di sempre.

Per questa ragione soprattutto fu rieletto il Presidente della Repubblica uscente, cosa mai accaduta prima, con una sorta di mandato a tempo, collegato appunto alla riforma della Costituzione (con una curiosa inversione, perché il mandato del Presidente della Repubblica è così lungo proprio perché sia libero e non strettamente vincolato alla contingenza politica). L’obiettivo della riforma della Costituzione ci aveva portato a immaginare un governo che stesse in carica per due anni, per portare al voto il Paese nel 2015, anno in cui il Presidente rieletto si sarebbe – indicativamente – dimesso (l’aveva spiegato, tra applausi scroscianti, il giorno dell’insediamento, con un’altra inversione: o fate le riforme, o me ne vado: «Ma ho il dovere di essere franco : se mi troverò di nuovo dinanzi a sordità come quelle contro cui ho cozzato nel passato, non esiterò a trarne le conseguenze dinanzi al paese»).

I grillini non si erano fidati e non si fidarono (a parte alcuni di loro che votarono Grasso e forse Prodi), il Pd scelse di seguire le decisioni prese in segreto dai 101 (che ci sono ancora e secondo me sono pure aumentati) ed eccoci qui.

Poi certo Berlusconi decadde, il Pd esultò, due mesi dopo esultò nell’ospitarlo al Nazareno, poi votammo di corsa – ma in una sola camera – la legge elettorale, senza poter cambiare nulla, perché vigeva il patto, poi votammo di corsa la riforma del Senato – ma anche in questo caso in una sola camera.

Ora al 2015 siamo arrivati: eccoci qui. E curiosamente la legislatura eletta con un sistema dichiarato incostituzionale dalla Consulta giusto un anno fa si trova a votare per due volte il Presidente della Repubblica. E l’inizio del 2015 sembra in tutto simile alla primavera del 2013: un ingorgo, il ruolo decisivo di Berlusconi, l’incertezza delle riforme, la fretta (ma solo a parole) che ci ha fatto perdere due anni, le posizioni che si scambiano di posto (allora chi è oggi al governo chiedeva un esecutivo a tempo che portasse al voto dopo pochi mesi), il timore dei 101 (quando durante le primarie ne parlavo tutti ridevano, chissà che cosa c’era da ridere), le divisioni nel M5s tra l’ala indisponibile e quella meno oltranzista, un Presidente che termina il proprio mandato (senza avere visto concluso il proprio percorso di riforme), i sospetti incrociati (che riguardano soprattutto il premier e forse anche l’altro del Nazareno, che dicano che non vogliono votare ma che in realtà si mettano d’accordo per votare in primavera).

Insomma, dopo due anni siamo al punto di partenza e nessuno può dire come andrà a finire: missione compiuta, le larghe intese hanno funzionato. Benissimo.

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