Marco Palombi, sempre molto attento, sul Fatto di oggi (qui):

La legge delega sul lavoro – noto come Jobs Act – sostiene che verrà creato un sistema di sussidi universali: non più solo i garantiti, ma anche i precari potranno avere l’assegno di disoccupazione o la maternità e in più la formazione e l’accompagnamento verso un nuovo posto di lavoro.

In cambio, viene abolita la Cassa integrazione in deroga: il sostegno al reddito è legato alla persona, questa la filosofia di base, non al posto di lavoro. Diciamo pure che sia una buona idea, ma ovviamente è più costosa rispetto agli attuali ammortizzatori sociali appannaggio dei soli “garantiti”.

E qui i conti cominciano a non tornare: di sola Cassa in deroga, infatti, nel 2014 spenderemo un po’ di più di due miliardi di euro (erano tre l’anno prima). E quanto ha messo da parte il governo per i fantomatici (e mai definiti nel dettaglio a tutt’oggi) nuovi ammortizzatori sociali universali? Un miliardo e 700 milioni in tutto, cioè meno di quanto si è speso quest’anno per la Cig in deroga. Cosa si paga con una cifra del genere? Niente che possa definirsi “universale”, né che renda più di una bugia la frase “nella legge di stabilità 2015 avremo le risorse per ampliare la gamma degli ammortizzatori sociali riducendone il numero” (Renzi lo annunciò alle Camere a settembre). La supercazzola del presidente del Consiglio sugli ammortizzatori sociali disegnati dal Jobs Act non è peraltro senza effetti politici: estenderli anche a chi non li ha era l’ultima frontiera dietro cui s’era asserragliata la minoranza del Pd. […] Spiega Stefano Fassina al Fatto Quotidiano: “Sono due mesi che Renzi fa propaganda contro la precarietà e su questi generici ammortizzatori sociali universali, ora però per finanziarli nella manovra mette meno soldi di quello che spendiamo oggi in cassa integrazione in deroga. Un piatto di lenticchie. Allora, visto che nemmeno si riducono le decine di contratti precari esistenti, il risultato vero di questo Jobs Act è quello che resta: la libertà di licenziare”. Perfida la conclusione: “Della serie: La sinistra dalla parte dei più deboli e Le parole che producono fatti” (due citazioni testuali della lettera che Renzi ha inviato a Repubblica per spiegare pure a Ezio Mauro che lui è di sinistra).

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