Emanuele da Parigi ci racconta della vicenda non proprio esaltante che riguarda in questi giorni la sinistra francese e il destino del suo governo:

Nel 2012 Hollande fu eletto per aver proposto ai francesi di abbandonare le politiche di austerità, pur tenendo in ordine i conti dello Stato.

A distanza di due anni di quella promessa è rimasto poco. Il malcontento dei cittadini si è manifestato prima con la disfatta dei sindaci socialisti alle elezioni amministrative dello scorso marzo, poi con quella delle Europee, con il Ps al 13% e quasi doppiato dall’estrema destra del Fn.

Tra i due momenti, Hollande ha cambiato il primo ministro: fuori Ayrault e dentro Valls. Un segnale che gli elettori francesi hanno semplicemente interpretato come un ulteriore spostamento a destra.

Due giorni fa il ministro dell’Economia Montebourg ha creduto opportuno criticare il modello dell’austerità: ha detto che è inutile e dannosa, limitandosi a sottolineare la necessità di rompere la spirale dei tagli alla spesa pubblica che generano il calo degli investimenti, nuova disoccupazione, peggiori entrate fiscali e quindi nuovi tagli, senz’altra logica che la coazione a ripetere. Si sono detti d’accordo anche il ministro della cultura Filippetti e quello dell’Educazione nazionale, Hamon.

A quanto pare anche in Francia, però, è vietato mettere in discussione l’impianto delle politiche economiche, anche se sei il ministro dell’economia. Valls ha preteso le scuse e l’abiura dei “ribelli”, i quali hanno rifiutato, “leali” (sono le parole di Aurélie Filippetti) «non al governo ma ai nostri ideali: dovremmo forse scusarci di essere di sinistra?».

Hollande e Valls hanno scelto di procedere, come ha commentato Libération, con piglio leninista al consolidamento per epurazione. Il che si traduce, in termini parlamentari, in un probabile assottigliamento della maggioranza di governo. Un risultato di dubbia valenza strategica in vista del futuro appuntamento delle presidenziali, che per Hollande deve appare come l’ultimo tratto della Planche des belles filles al Tour de France: ripido.

Senza un’inversione di rotta, che pare tuttavia scongiurata dalle scelte del presidente, l’unica via d’uscita resta l’Europa, nella persona di Mario Draghi e sotto forma di un ulteriore allentamento della leva monetaria. Il problema è che Draghi, come ha rilevato anche Krugman sul NY Times, non sembra poter affiancare alla competenza e alla buona volontà gli strumenti adeguati.

Per la sinistra francese, come per quella italiana, si prospetta un autunno plumbeo come il cielo di Parigi in quest’ultimo scorcio di agosto: il rigore di bilancio a tutti i costi, come se le primarie dei progressisti europei fossero ormai diventati un test di selezione per diventare governatore della Bundesbank. E senza esserci arrivati con un chiaro dibattito, anzi: facendo l’esatto opposto di quanto si era annunciato mentre si chiedevano i voti.

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