Tra Pd e PdR, così scrive Ilvo Diamanti oggi. Un partito del capo, dice il sociologo, oppure un partito con un leader, ma che rimane un partito. Così Diamanti, che sotto sotto invita il premier ad atteggiamenti più miti di quelli che si leggono da parte sua, sullo stesso giornale, nel pezzo di retroscena di Francesco Bei.

Perché pare che ci siano i dettagli del patto del Nazareno (anche se nessuno li conosce nel dettaglio, anzi, Repubblica ne è certa), che Mineo e Minzolini siano meno rappresentativi dei consiglieri regionali eletti con le preferenze (sarà per questo che Renzi ha deciso di fare il premier con questo Parlamento e proporre di rimanere fino al 2018 e far fare a questi rappresentanti non rappresentativi le riforme della Costituzione, senza essere eletto nemmeno lui, e sarà per questo che nell’Italicum non ci sono le preferenze), e che stasera scatenerà i suoi contro i dissidenti, per tutti questi motivi, e non importa che ci sia l’articolo 67 (al massimo cambiamo anche quello, che problema c’è?).

Il gioco si fa parecchio pesante, si individuano i nemici del popolo, si chiude a qualsiasi discussione parlamentare, si vantano numeri che forse non ci sono, anche perché tutta questa tensione, se i numeri ci fossero, sarebbe davvero ingiustificata. Ne resterà uno solo, ha ragione Diamanti. Ogni mediazione – come la mia proposta, depositata alla Camera un secolo fa – è impossibile. Evviva il Senato dei nominati e la Camera dei nominati anch’essa. Con solenne disprezzo per i nominati di oggi, e la grande aspettativa per i nominati di domani. Tutto il resto non conta.

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