In vista di vederci a Livorno, venerdì prossimo, nel primo incontro, coordinato da Andrea Pertici, torno a sollecitare una maggiore attenzione per la partecipazione dei cittadini, proprio mentre il Parlamento sembra proseguire nella direzione opposta.

La libertà e l’uguaglianza degli elettori sono principi per me non negoziabili, rispetto ai quali non accetto nessuna logica di compromesso, nessuno scambio, nessun accordo segreto, nessun tentativo (più o meno maldestro) di imporre una disciplina di partito.

Le riforme devono garantire questi principi. Noi che per primi abbiamo chiesto il cambiamento dobbiamo portarlo avanti seguendo questi principi. Per questo la mia linea è chiara: un Senato elettivo (contro un Senato di cooptati, di eletti dagli eletti, anziché dagli elettori), una legge elettorale che consenta ai cittadini di scegliere davvero i propri rappresentati (come avviene, ad esempio, con il collegio uninominale e non certo con l’incostituzionale Porcellum e con l’Italicum, suo diretto erede) e forme di decisione diretta dei cittadini.

Le proposte frutto degli “accordi” (ancora oscuri) degli ultimi mesi sembrano andare contro tutto questo, contro la libertà e l’uguaglianza dei cittadini.

Le proposte che ormai conoscete – che ho sempre formulato attraverso testi chiari e consultabili da tutti (a differenza di quanto accade generalmente per quelli del governo) – sono fatte per valorizzare questi principi.

Prima che il governo cominciasse il suo turbinio di proposte più o meno confuse per riformare il Senato, ho presentato una proposta di revisione costituzionale che – come ci chiedono gli elettori con chiarezza – diminuisse il numero dei senatori ma anche dei deputati, per diminuire poi le loro indennità.

La riforma della legge elettorale la chiedo dall’inizio della legislatura (e quindi da prima che il porcellum fosse dichiarato incostituzionale, quando al governo c’era Letta e, per la verità, ancora da prima, da quando si tentava inutilmente di formare un governo dell’alternanza e dell’alternativa), pretendendo che questa possa finalmente consentire agli elettori – e non alle oligarchie partitocratiche – di scegliere gli eletti. Per questo non ho votato l’Italicum che mantiene il controllo della partitocrazia sulle liste come faceva il Porcellum e per questo ho proposto che riprendessimo la legge Mattarella nella versione prevista per il Senato (senza listine bloccate e senza scorporo).

Da alcune settimane mi sono dedicato soprattutto alla partecipazione, con il #progetto2giugno, che ho lanciato, infatti, da Modena, per la festa della Repubblica, nata – come ben ricordiamo – da un grande momento partecipativo: il referendum nel quale per la prima volta votarono anche le donne.

E non è affatto un caso che a Livorno, venerdì prossimo, l’apertura del nostro Politicamp sarà dedicata proprio alle donne e alla partecipazione.

Proprio mentre la riforma costituzionale, che procede faticosa, tra strappi, atti d’imperio e compromessi al ribasso, vuole diminuire anche le occasioni di partecipazione diretta dei cittadini.

Dopo avere pensato di togliere loro la possibilità di votare per i senatori e di scegliere i deputati, si cerca ora di evitare che questi possano intervenire anche su alcune decisioni specifiche.

Così, pochi giorni fa, è stato approvato un emendamento che modificherebbe l’articolo 71, nella parte relativa all’iniziativa legislativa popolare, per innalzare il numero di firme necessarie da cinquanta a duecentocinquantamila, senza prevedere – come oggi sarebbe del tutto logico e è previsto, infatti, a livello europeo – la possibilità della sottoscrizione elettronica. Inoltre, non è introdotta nessuna reale garanzia che la proposta popolare sia discussa e approvata in tempi certi rimettendo genericamente ai regolamenti parlamentari la definizione dei tempi e delle forme della stessa.

La mia proposta, depositata alla Camera qualche settimana fa, invece, prevede che l’innalzamento del numero dei richiedenti sia compensato dalla possibilità di procedere alla sottoscrizione elettronica (ovvero via web) e – soprattutto – che il Parlamento debba giungere alla approvazione della proposta popolare nel termine di dodici mesi, scaduto il quale essa può essere sottoposta a referendum.

La stessa proposta prevede anche che le petizioni dei cittadini abbiano una risposta e che per il referendum abrogativo venga modificato il quorum di partecipazione, che ha portato a un forte indebolimento di questo strumento.

Vorrei che a decidere fosse, in effetti, chi partecipa davvero. E per questo sarebbe opportuno che per approvare una proposta sottoposta a referendum fosse necessario che partecipasse a questo la maggioranza di coloro che hanno votato alle ultime elezioni della Camera dei deputati (e non dell’intero corpo elettorale).

In pratica: si fronteggiano proposte diverse:

La nostra è per una Camera e un Senato molto più snelli e formati da persone scelte davvero dai cittadini e per dare a questi ultimi la possibilità di far sentire la propria voce e di prendere alcune decisioni anche nel periodo che intercorre tra un’elezione e l’altra. Sfidando Rousseau, per il quale gli elettori risulterebbero liberi solo nel giorno delle elezioni, ma sfidando ancora di più chi non li vorrebbe liberi neppure quel giorno.

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