Torno a parlare di partecipazione, del nostro #progetto2giugno, che è un altro modo di parlare della Costituzione, per una volta partendo dagli elettori, anziché dagli eletti. Sviluppando su questo piano l'idea (su cui mi sono soffermato più volte, e da ultimo nel libro Qualcuno ci giudicherà che ormai conoscete) per cui certamente è importante la leadership, perché bisogna poter contare su una guida riconoscibile, credibile e affidabile, ma tali caratteristiche dipendono dalla capacità di questa di costruire relazioni e cultura politica, facendo crescere il tasso di pluralismo all’interno della forza che guida.

Per questo credo che sia necessario coinvolgere i militanti e gli elettori in modo più ampio, mettendoli nella condizione di scegliere davvero i propri eletti (non mi stancherò mai di ripeterlo): per prima cosa con una adeguata legge elettorale (che ancora non abbiamo, dopo mesi di discussioni, accordi poco chiari e accelerazioni a vuoto), ma anche attraverso strumenti che consentano loro di partecipare alle scelte politiche nel periodo intercorrente tra un'elezione e l'altra. Superando l'impostazione per cui democrazia diretta e democrazia rappresentativa sarebbero alternative – fino alla contrapposizione tra democrazia e governo rappresentativo che troviamo in Madison come in Sieyès – per favorire, invece, una loro compenetrazione.

Mi pare che su questo ci sia molto da lavorare perché a fronte di una fortissima diminuzione dei votanti, che per la prima volta in un'elezione nazionale sono scesi, nelle ultime elezioni europee, al di sotto del sessanta per cento, a me capita invece di incontrare, nel girare l'Italia in lungo e in largo, moltissime persone che hanno voglia di discutere, di confrontarsi, che vogliono, insomma, partecipare. Partecipare alla politica, alle scelte relative alla cosa pubblica, cioè di tutti.

Evidentemente le elezioni – anche per il modo in cui si svolgono e forse, talvolta, per le persone che sono candidate – non rappresentano una sede sempre soddisfacente o comunque da sola sufficiente. Ecco che allora dobbiamo riscoprire anche il ruolo dei partiti politici, come sedi di confronto reale, nelle quali i cittadini possano concorrere, con metodo democratico, alla determinazione della politica nazionale. Ecco, che dobbiamo valorizzare e potenziare gli strumenti di partecipazione diretta alle decisioni politiche, in una logica – come dicevo – di integrazione tra democrazia diretta e rappresentativa.

Per questo oggi presento una proposta di revisione costituzionale, che interviene sulla petizione e soprattutto sulla iniziativa popolare, cercando di renderla realmente efficace, e sul referendum abrogativo, cercando di restituire allo stesso quell'efficacia che ha avuto per molti anni e che è venuta meno a causa della previsione per cui il suo risultato è valido soltanto se ha votato la maggioranza degli elettori.

Ciò ha consentito ai contrari all'abrogazione di unire i propri voti a quelli di una base di almeno il venti per cento di astensione che rappresenta, ormai da molti anni, il livello davvero minimo in tutte le elezioni, portando così al fallimento di numerosi referendum tra il 1997 e il 2009.

Per questo la proposta che sto presentando riduce il quorum di partecipazione, prevedendo – come suggerito da alcuni studiosi e già previsto dallo Statuto della Regione Toscana – che per la validità del referendum sia necessaria la maggioranza non dell'intero corpo elettorale, ma di coloro che hanno votato nelle ultime elezioni della Camera dei deputati.

Nessuna reale efficacia hanno invece avuto gli strumenti della petizione e dell'iniziativa legislativa popolare. Sia le prime che le seconde rimangono, infatti, spesso prive di seguito parlamentare.

Se certamente la petizione è uno strumento in sé a debole impatto, la mia proposta mira comunque a garantire che essa venga presa in considerazione dalle istituzioni parlamentari e che il richiedente ottenga, secondo le norme fissate nei regolamenti interni, una risposta.

Maggiore attenzione e implementazione merita, invece, l'iniziativa legislativa popolare: le proposte di legge di iniziativa popolare non solo sono spesso del tutto trascurate, ma talvolta vengono abbinate ad altre di iniziativa parlamentare e/o governativa e il testo che ne risulta non mantiene praticamente più niente né dei principi ispiratori né dei contenuti normativi essenziali del progetto presentato dai cittadini (che solo formalmente, quindi, ha avuto qualche seguito).

La mia proposta prevede che, se le sottoscrizioni sono ottocentomila (cioè quante ne occorrono, a seguito della revisione costituzionale in oggetto, anche per il referendum abrogativo), da raccogliere anche in via elettronica, ove la proposta di legge di iniziativa popolare non sia approvata dalle Camere, ai sensi dell'articolo 72, o sia approvata in un testo che non ne rispetti i principi ispiratori e i contenuti normativi essenziali, entro dodici mesi, la proposta di legge venga sottoposta a referendum popolare per la sua approvazione direttamente da parte degli elettori.

La proposta si fa carico, seppure attraverso il rinvio alla legge, anche della necessità che la partecipazione dei cittadini sia consapevole e pertanto prevede che siano garantite tutte le informazioni sulle proposte necessarie a tale scopo. La consapevolezza della partecipazione, insieme alla provenienza dagli stessi cittadini (e non dal potere costituito) della proposta messa in decisione, assicura che la partecipazione sia autentica e completi davvero la democrazia, senza alcuna torsione plebiscitaria, che porterebbe esattamente al risultato opposto a quello che intendiamo realizzare.

Insomma, mentre tutto sembra dover procedere in linea verticale proponiamo una soluzione orizzontale, attraverso la quale poter recuperare il rapporto con i cittadini oggi compromesso al punto che più del quaranta per cento non ha voluto neppure votare per il Parlamento europeo.

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