Oggi in assemblea nazionale è stato il trionfo dell’argomento dell’uomo di paglia (me lo ha segnalato Stefano Catone, ricordando alcuni interventi appassionati di Luca Sofri, in proposito), pratica retorica particolarmente scorretta, soprattutto se usata all’interno di una stessa forza politica per regolare i conti (e soprattutto se il redde rationem è portato dalla maggioranza alla minoranza).

Per prima cosa l’attacco dichiarato con veemenza dal segretario a chi non vuole il superamento del bipolarismo perfetto: un attacco a vuoto, uno schiaffo alle mosche, come lo ha definito Walter Tocci, perché il superamento del bicameralismo perfetto è assunto da tutti e non da oggi. Personalmente, alla prima direzione, ipotizzai addirittura di scegliere un modello monocamerale (serio e il più possibile equilibrato, per rispettare anche chi non governa, cioè le opposizioni), che non fu però preso in considerazione.

Il punto è come farlo, il bicameralismo. Ma nessuno è contrario al superamento della sua ‘perfezione’.

Poi c’è l’attacco a chi non vuole le riforme. Anche questo parecchio fallace. Perché tutti vogliono le riforme, solo che qualcuno vorrebbe capire se alla fine delle riforme il popolo è più sovrano di prima o meno (si veda anche alla voce Italicum).

Terzo, si dice che qualcuno sarebbe attaccato alla poltrona: peccato che molti dei senatori che non sono d’accordo con l’impostazione del governo siano a un “buon punto” della loro carriera e pronti a tornare a votare, in molti caso senza nemmeno ricandidarsi. Ma fino al 2018 non si può votare comunque, perché si è deciso di estendere la legislatura precaria e retta da maggioranze che non ha votato nessuno non più soltanto fino al 2015, ma a scadenza naturale.

A questo punto, chi è esattamente attaccato alla poltrona?

Da ultimo si accusano i ‘dissidenti’ dicendo che non vogliono fare in fretta le riforme: ora, l’anno scorso si disse che si doveva cambiare l’art. 138 per cambiare la Costituzione e si perse un anno (l’articolo 138 non fu riformato perché Berlusconi abbandonò la maggioranza). Non ricordo Zanda lamentarsi di questa impostazione. Ora, dopo sei mesi di nuovo corso (e nuova corsa), siamo ancora senza riforma costituzionale e senza riforma elettorale. Eppure da sei mesi c’è, a sentire governo e capigruppo, un accordo con Berlusconi che tiene. Se è vero, come garantiscono tutti, chi sta rallentando le riforme?

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