Il Manifesto dell’Antimafia di Nando dalla Chiesa (Einaudi) è un libro che dovrebbero leggere tutti i rappresentanti del popolo, dal più piccolo comune (dove, nota dalla Chiesa, è più forte la capacità di penetrazione delle organizzazioni criminali) al Parlamento italiano (e anche europeo, già che ci siamo) che negli ultimi anni si è progressivamente allontanato dall’argomento.

Il libro è veloce, scorrevole e pieno di istruzioni e di informazioni. Chiarissimo nell’individuare le opacità della «zona grigia» e del comportamento dei «cretini», arriva a sfatare alcuni luoghi comuni (attribuiti da dalla Chiesa agli «antimafiosi creativi») che stanno creando molta confusione.

Ci vuole un movimento serio e rigoroso (a cui non bastano i like) e soprattutto ci vuole una politica diversa, meno interessata e anche meno distratta. Meglio informata e più consapevole. Sulla base di un’assunzione di fondo e professionalità molto specifiche. Anche perché per ora la realtà è irreale, dice dalla Chiesa:

Un drammatico, secolare problema politico non è un problema per la politica: ecco la ragione prima che muove a indignazione. Ed è questo il massimo cortocircuito istituzionale in cui si dibatte da decenni il nostro Paese, e sempre più via via che sale la sciasciana «linea della palma».

Un atteggiamento che ha fatto fortuna, «nonostante la realtà, nonostante la storia» (p. 93). Per contrastarlo ci vorrebbe la prima e più importante riforma del nostro Paese, quella di cui non parla nessuno. Non è un caso: è come se una certa forma di omertà, politica e psicologica, si fosse impadronita di tutte le classi dirigenti. Forse perché è un problema troppo grande e riguarda la politica troppo da vicino.

Come se fosse un problema, la mafia, ma solo a parole. E solo quando ci ricordiamo di citarla, insieme a quell’altro tema così fuori moda, quello della legalità.

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