L’articolo sull’autoriciclaggio, presentato come emendamento al decreto legge sulla Voluntary disclosure, a cui abbiamo lavorato con il contributo della senatrice Lucrezia Ricchiuti, sarà depositato oggi in Commissione Finanze, sottoscritto da tutto il gruppo del Pd, come avevo chiesto che fosse. L’emendamento vedrà come primi firmatari il capogruppo Marco Causi e il vostro affezionatissimo e ha già raccolto l’adesione di altri colleghi, che si sono dimostrati molto interessati alla nostra proposta.

Di seguito il testo e la relazione da cui siamo partiti:

Testo

648-bis. (Riciclaggio).
È punito con la reclusione da quattro a dodici anni e con la multa da € 5.000 a € 50.000 chiunque sostituisce o trasferisce denaro, beni o altre utilità provenienti da delitto non colposo ovvero compie altre operazioni in modo da ostacolare l’identificazione della loro provenienza delittuosa.
Si applica la pena della reclusione da due a otto anni e della multa da € 2.000 a € 25.000 se il denaro, i beni o le altre utilità provengono da delitto non colposo per il quale è stabilita la pena della reclusione non superiore nel massimo a sei anni.
La pena è aumentata quando il fatto è commesso nell’esercizio di una professione ovvero di attività bancaria o finanziaria.
La pena è diminuita fino a due terzi per chi si sia efficacemente adoperato per assicurare le prove del reato e per evitare che l’attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori.
Si applica l’ultimo comma dell’art. 648.

Relazione

L’articolo mira a introdurre nel nostro ordinamento la fattispecie incriminatrice di autoriciclaggio, ovverosia a estendere la punibilità per riciclaggio all’autore, anche in concorso, del reato da cui provengono il denaro, i beni o le utilità che ne costituiscono oggetto (reato presupposto). Attualmente è punito a titolo di riciclaggio soltanto chi non abbia commesso, o non abbia concorso a commettere, anche il reato presupposto. A tal uopo opera, infatti, la clausola di riserva, secondo cui il riciclaggio è sanzionabile soltanto «fuori dei casi di concorso nel reato». Così concepita, la clausola di riserva riduce sensibilmente l’operatività in concreto della fattispecie. Per effetto della stessa, infatti, è esclusa la punibilità per riciclaggio non solo dell’autore del reato presupposto che provveda direttamente a sostituire o trasferire i proventi o comunque a ostacolare l’identificazione della loro provenienza delittuosa; ma anche e soprattutto dell’autore in via principale della condotta di riciclaggio il quale, per il fatto di aver anche in minima parte contribuito alla commissione del reato presupposto, concorre solo in quest’ultimo reato, andando così immune dal riciclaggio.

Sul piano criminologico, quest’ultima condotta appare sempre più diffusa in connessione con reati di appropriazione indebita, evasione fiscale e corruzione. Non è, infatti, infrequente che esponenti o titolari di aziende si accordino con terzi “riciclatori” nel senso di utilizzare mezzi di questi ultimi, come società di comodo che emettono fatture per prestazioni inesistenti, allo scopo e con l’effetto di sottrarre all’azienda e a tassazione, e in seguito riciclare, denaro o beni sociali da destinare a proprio uso personale, per finalità corruttive o altro. È anche per questi motivi che l’introduzione della fattispecie di “autoriciclaggio” si rende oggi quanto mai necessaria, come risulta, del resto, confermato negli orientamenti degli organismi internazionali operanti in materia.

In questo senso, il Gruppo di lavoro dell’OCSE sulla corruzione ha di recente osservato, nel Rapporto di Fase 3 sull’Italia del 2011, come, sebbene la convenzione OCSE contro la corruzione dei pubblici ufficiali stranieri non preveda l’obbligo di criminalizzare l’autoriciclaggio, una simile lacuna normativa, «che rischia di ostacolare l’efficace applicazione della legislazione in materia di corruzione internazionale, non sembra giustificata dai principi giuridici fondamentali». Per parte sua, il Fondo Monetario Internazionale ha, invece, rilevato, nel Rapporto sull’Italia del 2006, come, per quanto le 40 Raccomandazioni del Gruppo di Azione Finanziaria Internazionale – GAFI per la prevenzione e il contrasto al riciclaggio e del finanziamento del terrorismo non impongano espressamente la sanzionabilità dell’autoriciclaggio, l’introduzione di questa fattispecie sia nondimeno raccomandabile, anche alla luce delle esigenze investigative rappresentate dalle stesse autorità italiane.
Tanto premesso, con la presente proposta si intende sostituire l’art.648-bis del codice penale – che attualmente disciplina il delitto di riciclaggio – con una nuova disposizione, volta a configurare una nuova fattispecie incriminatrice , basata essenzialmente su quattro punti cardine: l’estensione della punibilità dell’attuale condotta di riciclaggio anche al concorrente nel reato presupposto, mediante la semplice soppressione della clausola di riserva iniziale; la sostituzione dell’attuale circostanza attenuante speciale a effetto comune, secondo cui «la pena è diminuita se il denaro, i beni o le altre utilità provengono da delitto per il quale è stabilita le pena della reclusione inferiore nel massimo a cinque anni», con una più ampia circostanza attenuante a effetto speciale, per cui «si applica la pena della reclusione da due a otto anni e della multa da 2.000 a 25.000 euro se il denaro, i beni o le altre utilità provengono da delitto non colposo per il quale è stabilita la pena della reclusione non superiore nel massimo a sei anni»; l’inserimento nell’attuale circostanza aggravante speciale a effetto comune, secondo cui «la pena è aumentata quando il fatto è commesso nell’esercizio di un’attività professionale», di un riferimento anche all’«esercizio di attività bancaria e finanziaria»; l’introduzione di una sostanziale attenuazione di pena, fino a due terzi, per l’autore del delitto che «si sia efficacemente adoperato per assicurare le prove del reato e per evitare che l’attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori».
A ben vedere, infatti, l’estensione della punibilità per riciclaggio all’autore del reato presupposto consente finalmente di ascrivere all’autoriciclaggio una antigiuridicità che, lungi dall’essere in tutto assorbita nel disvalore del reato presupposto, è piuttosto assimilabile a quella connaturata al riciclaggio del terzo, venendo in tal modo a superare la condizione di vantaggio per l’autore del reato presupposto, rappresentata in termini di “privilegio di autoriciclaggio”. D’altro canto, una simile estensione in nulla verrebbe a contrastare con i principi della non punibilità del mero post factum e del nemo tenetur se detegere. Questi ultimi continuerebbero, anzi, efficacemente ed utilmente ad operare nell’azione interpretativa del giudice, per definire, con la necessaria adeguatezza, i confini della fattispecie medesima. Col che, dunque, anche per effetto di un auspicabile affinamento della riflessione giurisprudenziale applicata alla varietà dei casi concreti, l’autoriciclaggio si spoglierebbe della, peraltro solo apparente, connotazione di aggravante generalizzata applicabile in via automatica a ogni delitto, venendo piuttosto apprezzabilmente a identificarsi come la necessaria fattispecie incriminatrice di una condotta sufficientemente distinta dal reato presupposto e connotata da un autonomo e rilevante disvalore. Ed è proprio in quest’ottica che andrebbero, quindi, risolte le incertezze circa l’individuazione dei comportamenti che integrerebbero la fattispecie di autoriciclaggio. Sarà, dunque, la complessità e raffinatezza delle tecniche operative utilizzate a determinare in concreto se la condotta sia effettivamente idonea a “ostacolare” dinamicamente l’identificazione delle provenienza delittuosa dei proventi, o consista piuttosto nel conservare staticamente o nell’”utilizzare” simili proventi per esigenze imprenditoriali o personali, pur con le necessarie accortezza per evitare l’identificazione del reato presupposto. Sotto il profilo dell’entità della pena, inoltre, il cennato rafforzamento del sistema delle circostanze attenuanti consentirebbe di condurre a una sensibile riduzione di pena per l’autore di reati meno gravi, inclusi tutti i reati tributari, e/o per chi adotti un atteggiamento collaborativo per la rilevazione del reato. In questo modo, quindi, e anche per effetto della disciplina della continuazione, la pena prevista per l’autoriciclaggio verrebbe a essere opportunamente commisurata a quella prevista per il reato presupposto, senza perdere tuttavia l’aggancio alla pena per il riciclaggio del terzo reso necessario dalla sostanziale identità fattuale dell’elemento oggettivo del reato.

Quanto sopra osservato vale, in particolare, per l’autoriciclaggio dei proventi dei reati tributari, rispetto al quale la proposta di legge prevede una rilevante attenuazione del trattamento sanzionatorio. Considerato, infatti, che la pena massima edittale stabilita per i reati previsti dal Decreto legislativo n. 74 del 2000 non è superiore a sei anni, l’autore dell’autoriciclaggio dei proventi da evasione fiscale potrà in ogni caso beneficiare della circostanza attenuate a effetto speciale prevista dal comma 2, nonché, qualora si adoperi efficacemente per assicurare le prove del reato e per evitare che l’attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori, dell’ulteriore attenuante a efficacia comune prevista dal comma 4. A quest’ultimo proposito, una rilevanza centrale potrà essere assunta dall’esperimento, da parte dell’autore, delle procedure di collaborazione con l’amministrazione finanziaria per l’identificazione degli imponibili sottratti a tassazione; tra le quali, oltre a quelle già attualmente operative, quella disciplinata dalla proposta di legge presentata congiuntamente alla presente, riguardante la “collaborazione attiva” per l’identificazione degli investimenti e delle attività all’estero non dichiarate. In quest’ottica, anzi, le due proposte di legge vengono reciprocamente a integrarsi, rappresentando la collaborazione attiva una causa di attenuazione della pena per il reato di autoriciclaggio, quest’ultimo un fattore deterrente alla commissione dell’autoriciclaggio e incentivante alla stessa collaborazione attiva.
La presente proposta non interviene, invece, a introdurre anche la fattispecie di “auto-reimpiego”, ovverosia ad estendere all’autore del reato presupposto anche la punibilità per il reato di impiego, prevista all’articolo 648-ter del codice penale. Tale reato consiste nel fatto di chi «impiega in attività economiche o finanziarie denaro, beni o altre utilità provenienti da delitto». Anche questa fattispecie, come quella di riciclaggio, punisce, tuttavia, soltanto chi non abbia commesso, o non abbia concorso a commettere, anche il reato presupposto, a tal uopo operando la clausola di riserva, secondo cui l’impiego è sanzionabile soltanto «fuori dei casi di concorso nel reato». Alcune proposte di legge, tuttora giacenti in Parlamento, hanno, quindi, proposto di sopprimere la clausola di riserva, oppure di integrare la condotta di impiego in quella di riciclaggio, sopprimendo per intero l’articolo 648-ter. Siffatto intervento troverebbe, infatti, giustificazione tanto sul piano logico, non rappresentando il rimpiego altro che una fase della più vasta condotta di riciclaggio, che sul piano sistematico, venendo in tal modo a punirsi simmetricamente tanto la condotta dell’autore del reato del presupposto che quella del terzo estraneo a quest’ultimo.

Alla base della decisione, sottesa alla presente proposta, di non intervenire sul reato di reimpiego sta, piuttosto, la necessità di distinguere concettualmente tra due condotte di reimpiego. La prima ha a oggetto il denaro, beni o utilità provenienti direttamente dal reato presupposto. La seconda ha, invece, a oggetto il denaro, beni o utilità derivanti dal previo riciclaggio dei proventi del reato presupposto. Delle due, soltanto la prima è punita all’articolo 648-ter del codice penale. Ma per essa, estendere la punibilità all’autore, anche in concorso, del reato presupposto rischierebbe, pur nella cennata operatività dei principi del post factum e del nemo tenetur se detegere, di spingere troppo avanti la pretesa punitiva dello Stato. Si arriverebbe, infatti, a sanzionare penalmente anche comportamenti di reimpiego molto contigui al mero utilizzo dei proventi del reato, come il reinvestimento dei proventi di evasione fiscale all’interno dell’azienda a carico della quale è stato compiuto il reato presupposto; con effetti potenzialmente negativi anche sulla “tenuta” costituzionale della fattispecie. La seconda condotta costituisce, invece, secondo la più evoluta interpretazione giurisprudenziale, la naturale prosecuzione della stessa condotta di riciclaggio. Essa presenterebbe, dunque, un autonomo disvalore, distinto da quello del riciclaggio; per cui non vi è, pertanto, alcuna necessità di prevedere una autonoma fattispecie penale.

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