Piero Ignazi, oggi, su Repubblica, riprende e rilancia alcune questioni che sullo stesso giornale aveva sollevato Gianluigi Pellegrino due giorni fa.

Il treno delle riforme è partito e questa volta, ne sono convinti tutti, arriverà a destinazione. Bene. Ma ad una condizione: che cammin facendo si liberi delle zavorre e delle incrostazioni di una eccessiva intelligenza col nemico. Che non è Silvio Berlusconi, bensì il proporzionalismo camuffato.

La bozza uscita dai conciliabili tra Renzi e il Cavaliere — e in precedenza tra gli apripista Verdini e D’Alimonte — riporta intatti quasi tutte le caratteristiche, e i difetti, del Porcellum. Ha avuto ragione a rallegrarsi del parto l’ottimo Calderoli… Le liste bloccate rimangono, e non è questione se sono lunghe o corte: sempre bloccate sono. Il conteggio dei seggi da attribuire è ancora calcolato sui voti ottenuti nazionalmente e quindi, in linea di principio, la logica del sistema rimane proporzionale. Il premio di maggioranza, con il suo effetto distorcente, è mantenuto, proprio per ovviare all’impianto proporzionale. Solo che, mentre la Corte ha chiesto di limitarsi ad un premiolino, la Renzi-Berlusconi assegna un super-premio che può arrivare al 50% in più rispetto ai voti ottenuti. Facciamo due conti: se un partito o una coalizione arrivano primi con il 35% dei voti — la soglia minima — per garantirgli la maggioranza assoluta dei seggi gli si deve attribuire un bonus del 17% almeno, cioè la metà del 35%. Il ché vuol dire che per arrivare alla soglia magica della maggioranza assoluta bisogna regalare una quota pari alla metà dei voti ottenuti.

È questo quel premio “ragionevole” di cui parlava la Corte? Sembra proprio di no. Il punto è che per salvare sia il principio di proporzionalità tanto caro a Berlusconi (e anche a Grillo: potevano mettersi d’accordo i due…) che il bipolarismo, il premio di maggioranza non è stato toccato. Ma fermiamoci ancora sulla logica premiale così cara alla mentalità televisiva da quiz. Per quale motivo i premi sono pressoché sconosciuti nelle democrazie mature? La risposta è semplice: perché distorcono senza criterio la rappresentanza, e vengono adottati solo in circostanze eccezionali per la supposta debolezza del sistema politico. Ora, una nuova legge elettorale che apra finalmente una stagione riformatrice non può essere concepita in una logica emergenziale e soprattutto non deve tener conto del panorama partitico esistente. Il gioco della “simulazione” dei risultati elettorali alla luce della nuova legge non è solo un esercizio spericolato come molti, a incominciare da Angelo Panebianco, hanno sostenuto, ma riflette anche un atteggiamento strumentale e miope di fronte ad una normativa che non va forgiata sull’esistente ma costruita per essere il sistema elettorale dei prossimi decenni.

Solo in Italia, a forza di modifiche strumentali come il Porcellum ci troviamo in vent’anni ad aver votato con tre sistemi diversi: proporzionale fino al 1992, maggioritario al 75% dal 1994 al 2011, proporzionale con premio dal 2006 al 2013. Nessun’altra democrazia ha subito cambiamenti così radicali. Il prossimo sistema non deve riflettere le convenienze di vittoria o di sopravvivenza di questo o quello (e la norma di salvaguardia per la Lega — ottenere rappresentanza se si supera la quota di sbarramento in almeno tre regioni — era veramente incredibile).

Deve essere un sistema che assicuri il miglior mix di rappresentanza e governabilità. Per questo è necessario che il treno della riforma cambi in corsa qualche vagone. Perché sono troppe le incongruenze e le storture. Del resto non stupisce più di tanto questo esito visto che, secondo quanto affermava Roberto D’Alimonte nella sua intervista a Repubblica ieri, Renzi ha accettato le posizioni di Berlusconi su quattro aspetti importanti quali il rifiuto del maggioritario in collegi uninominali con doppio turno, la bassa soglia per il conseguimento del bonus, il divieto di candidature multiple e la possibile resurrezione del vecchio sistema elettorale per il Senato (sistema proporzionale personalizzato attraverso collegi uninominali).

Non si capisce allora in che cosa consistessero i punti fermi del Pd rispetto alla sua preferenza iniziale, il maggioritario con doppio turno alla francese, e alle tre originali proposte renziane. Comunque, almeno si introducano dei ragionevoli correttivi (e in casa Pd la componente di Civati ne ha già avanzati di costruttivi). Uno di questi, utile a superare l’impasse delle liste bloccate, che sono molto indigeste all’opinione pubblica — e sul Parlamento dei nominati la polemica grillina sarà fortissima — riporta alla introduzione di una legge sui partiti e, in particolare, su modalità aperte e democratiche (non necessariamente le primarie) per la selezione dei candidati. In questo modo si forzano i partiti alla trasparenza e i cittadini hanno la possibilità di seguire il percorso della scelta dei candidati. Come accade in Germania del resto, dove le liste nella scheda proporzionale sono bloccate.

Insomma, per una buona legge elettorale, di interesse collettivo e non di parte, e che contempli rappresentanza e governabilità, c’è ancora un bel po’ di lavoro da fare. E comunque tutti i miglioramenti necessari non devono arrestare il processo in corso. Questa volta bisogna arrivare in fondo, e arrivarci bene.

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