Ieri mi ha colpito l’assenza di Pier Luigi Bersani. E mi ha colpito ancor di più che io sia stato l’unico a parlare di lui, con riferimento alle difficoltà del ruolo di segretario del Pd.

C’è come una damnatio memoriae nei suoi confronti, quasi si trattasse di un capo espiatorio (figura letteraria nel Pd) a cui addossare tutte le colpe degli errori commessi negli ultimi mesi e negli ultimi anni, come se fossero esclusivamente suoi. Nessuno parla di lui, nessuno parla di Sel, nessuno parla della carta d’intenti, nessuno parla di quelle giornate di aprile.

Nemmeno i bersaniani più bersaniani, nemmeno chi ha fatto carriera alle sue spalle e facendo il bersaniano, nemmeno chi è stato promosso, dopo il suo sacrificio. E sta al governo. E vota insieme a chi l’ha fatto fuori, senza fare una piega, senza mostrare alcun imbarazzo.

Avevo suggerito a Bersani, dopo le elezioni, di rinunciare alla premiership (per centomila motivi) e per questo fui attaccato. Quelli che lo difendevano lo hanno portato a fare la stessa cosa, ma non per scelta, no, con l’inganno.

In un contesto del genere, fa piacere leggere un post così.

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