Massimo Giannini spiega molto bene perché questa legge di stabilità stabilizzi ma non rilanci.

Si coglie qua e là una ricerca di soddisfare il bisogno crescente di equità che monta nel Paese. Ma è quasi rabdomantica, e in alcuni casi contraddittoria. Anche qui, pesano chiaramente le diverse costituency politico-elettorali dei partiti di governo, che frappongono veti incrociati e giustappongono richieste. Senza elaborare una sintesi avanzata, senza enucleare una priorità definita. L’esempio più lampante è la seconda rata dell’Imu: quest’anno non la verseremo perché così ha preteso il Cavaliere nel “patto costitutivo” del governo, ma l’anno prossimo la pagheremo con gli interessi. Cambierà solo il nome, ma non la sostanza: si chiamerà “Trise”, e costerà in media 370 euro a famiglia. Un altro esempio è la tassazione del capitale: manca la forza di ripensare in modo definitivo la struttura squilibrata del prelievo sulle rendite finanziarie (tuttora colpite con aliquote pari alla metà esatta di quelle che gravano sul lavoro). Ma si supplisce con l’ulteriore inasprimento della “patrimonialina” sui bolli del deposito titoli.

Manca la determinazione di rimodulare il perimetro dello Stato sociale, allargandolo dove serve e restringendolo dove si può, ma si concede qualche risorsa aggiuntiva al Fondo dei non autosufficienti, alla Social card e alla cassa integrazione in deroga. Manca la fantasia di strutturare una fiscalità di vantaggio per i nuclei familiari, ma si prolungano gli eco-bonus sull’energia e sulle ristrutturazioni immobiliari. Si introduce un contributo di solidarietà sulle pensioni più alte, ma si impongono nuovi sacrifici al pubblico impiego, sul quale non si interviene con una riforma radicale volta a un vero recupero di efficienza (come ci sarebbe un disperato bisogno), ma con un altro giro di vite sui rinnovi contrattuali e sulle prestazioni straordinarie (come nella peggiore tradizione forzaleghista).

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