Leggevo del sì alla riforma boschiva e al futuro, che a detta del premier sono indisgiungibili. 

Come se chi votasse no non volesse un futuro. Non ne avesse uno in mente.

E meno male che ci dovevamo soffermare sul merito, non sulla personalizzazione-plebiscito. Già.

Come dice quella canzone, caro Capataz, c’è un altro tipo di futuro. Diverso dal tuo a tal punto che – lo credo bene – fai fatica anche soltanto a immaginarlo.

Un futuro che rompa con il passato, non costruito sull’operazione di riesumazione delle idee della destra che ci propini tu.

Un futuro in cui i politici siano scelti dalle persone, non dai politici (o da te).

Un futuro in cui le istituzioni non siano oggetto di caricatura da chi dovrebbe rappresentarle.

Un futuro in cui le cose che si aboliscono, si aboliscono. In cui le promesse si mantengano. In cui i programmi si rispettino. In cui la rappresentanza sia garantita, perché è l’unica condizione di una vera governabilità.

Chi dirà no non dirà no al futuro, non ha alcuna intenzione di farlo. Dirà no a questo presente invecchiato e di cattiva qualità.  E dirà no al Senato senza un perché, formato da consiglieri che si nominano tra di loro (con l’aggiunta di sindaci), a un sistema elettorale che gli fa da perfetta sponda, a scelte di totale centralizzazione che contrastano con la qualità della amministrazione.

E lo dirà proprio pensando al futuro. Quello non è tuo, ma di tutte e tutti.

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