Care e cari,

vi scrivo per illustrarvi la mia opinione sulle primarie del Pd.

Come sapete, penso che le regole non debbano cambiare, che possano votare tutti coloro che intendono partecipare, che chiudere il congresso oggi sarebbe sbagliato e pericoloso.

Perché il nostro Statuto parla chiaro e perché abbiamo un’esigenza: che è quella di aprire le porte del Pd per farci entrare le persone, e non per mandarle via, come è capitato – nostro malgrado – a febbraio, e come è successo nei giorni tremendi di aprile (quest’anno, il più crudele dei mesi).

Un Pd ridotto non serve a nulla e non sarebbe più il Pd: sarebbe un PdmenoPd, per riprendere l’accusa più dura che ci viene rivolta da un po’ di tempo a questa parte.

Non importa che il segretario poi si candidi immediatamente a premier, importa che sia un segretario scelto da tanti, tantissimi, e che rappresenti iscritti ed elettori, entrambe le ‘categorie’, senza porre gli uni contro gli altri.

Importa perché il Pd deve guardare fuori di sé, e non solo al proprio interno, dire qualcosa sul partito e sul governo, insomma sul Paese. E faccia discutere tutti quanti di questo, non di quante tessere abbia questo o quel candidato.

Un congresso aperto non è solo un congresso aperto alla partecipazione, è un congresso aperto alla politica e alla società, in due direzioni, perché così deve essere un partito moderno.

L’obiezione che mi sento rivolgere spesso è che siamo un’associazione e che gli iscritti dovrebbero scegliere i vertici della loro associazione.

Solo che siamo un’associazione politica, la cui missione è quella di rivolgersi ai cittadini e agli elettori, e la sua missione supera (meglio, realizza) anche i vincoli associativi. Se siamo naturalmente rivolti verso i nostri elettori, non possiamo non esserlo al Congresso.

A chi mi chiede: “a che cosa allora servono gli iscritti?”, rispondo perciò che la questione è da osservare da un punto di vista diverso: perché gli iscritti servono solo se possono interpretare la linea politica del partito in cui militano, e possono essere coinvolti nella sua organizzazione, e anche (soprattutto!) nelle sue decisioni.

Nessuno in questi mesi si è sognato di coinvolgervi, di chiedervi come la pensiate, di far maturare insieme scelte politiche che riguardino il destino nostro e del Paese.

Le iscritte e gli iscritti devono essere informati, collegati tra loro non solo in modo gerarchico o, peggio, correntizio, devono sentirsi protagonisti perché sono messi nelle condizioni di esserlo, protagonisti.

Che cosa pensano gli iscritti al Pd dell’Imu, che ne pensano i suoi amministratori, chi ‘raccoglie’ la loro posizione? Che ne dicono degli F-35 e della modifica costituzionale? Che strumenti hanno per partecipare a queste discussioni?

Ecco, credo che un’adesione al Pd debba comportare questo tipo di domande, non all’insegna dell’egoismo dell’iscritto rispetto al semplice elettore (che dovrebbe essere un suo costante interlocutore), ma all’insegna di un suo protagonismo diretto.

Un partito aperto deve essere organizzatissimo e partecipatissimo, altrimenti non funziona. E non ha funzionato il partito solo liquido, né quello troppo solido, perché l’equivoco è che per fare il primo ci vuole il secondo. Per fare la rete, ci vuole la presenza territoriale. E per stare nelle comunità, ci vuole una rete accessibile e trasparente.

Questa è la svolta, e il bello è che la faremo insieme. E non preoccupatevi, ci sarà parecchio da fare.

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