Non mi piacciono le espressioni inglesi, di solito: se applicate alla politica italiana, nascondono una fregatura.

Devo dire però che la definizione di outsider mi piace molto (la adotta Giovanna Casadio su Repubblica oggi, per ‘etichettare’ la mia candidatura).

Gli outsider sono proprio quelli a cui mi rivolgo: chi si è sentito lontano dalla politica in questi anni; chi non ha modo di partecipare, solo perché non è introdotto, ma a volte solo dotto e competente; chi non accede, perché non conosce nessuno che abbia la chiave per aprirgli le porte giuste.

In questo Paese gli outsider sono dappertutto, sono la stragrande maggioranza dei cittadini, quelli che gli amici degli amici li hanno solo su Facebook.

Sono i giovani, ma anche molti anziani meno fortunati di altri (l’esodato è un insider buttato fuori).

Sono le donne, più di tutti gli altri.

Sono i provinciali, che si sentono lontani dai Palazzi, e spesso si affidano al primo pifferaio che passa, anche per via di un certo complesso di inferiorità che ogni tanto prende il sopravvento su chi si sente lontano dai luoghi in cui qualcun altro decide per lui.

E poi sono i cittadini stranieri, e i gay, e chi la pensa diversamente. Chi non si adegua e chi non ha spazio.

Sai com’è? Sono outsider. E lo è anche un po’ il Pd, che non si capisce bene dove stia, che è “fuori di sé” (termine tecnico), alla vigilia dell’elezione della pitonessa, che non vuole votare nessuno (davvero?).

A quel complesso di inferiorità, gli outsider devono opporre quello che Flaiano chiamava “complesso di uguaglianza”. Per lui era un fatto ironico, ma noi outsider all’uguaglianza teniamo particolarmente.

Di persone che ci vorrebbero mettere una mano sulla spalla, ne abbiamo incontrate a sufficienza. Ora tocca agli outsider. Che vengono da lontano. E se solo avessero più fiducia nelle proprie capacità, e si organizzassero, andrebbero lontano. Fino al governissimo, e oltre. Molto oltre.

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