Ne parlavo ne La rivendicazione della politica (il libro, pubblicato nel 2011, lo trovate qui accanto). Leggendo le cronache di oggi, mi è tornata alla mente quella pagina:

Se qualcuno, però, si azzarda ad affermare che il M5S si riconosce in Grillo quale leader di riferimento – cosa che a molti appare come una delle più limpide ovvietà dei nostri tempi –, i suoi attivisti immediatamente precisano che Grillo è solo il loro «megafono». Che lo seguono, certamente, ma non è il loro leader. No, per loro è diverso, non hanno un capo, ma una sorta di garante, una figura super partes, che ‘garantisce’ loro la massima visibilità e copertura mediatica.

Un gioco delle parti che pare discutibile e che nasconde una scomoda verità. Che il M5S ha potuto raggiungere i propri risultati quasi esclusivamente grazie a Grillo. E che nell’impasto della proposta politica dei suoi attivisti, Grillo conta e conta parecchio. Come conta il suo ‘controllo’ sul movimento, fin dalla proprietà del logo e da quella funzione strategica che supera di gran lunga la funzione di garanzia che sogliono attribuirgli. E conta la sua forza d’urto, che permette a esperienze diverse di avere un riferimento nazionale di fortissimo impatto, anche se non sempre coincidente con le posizioni dei singoli gruppi o militanti del M5S.

Per molti questo è un compromesso accettabile, per altri invece è un elemento problematico, destinato a mostrare la corda. Ed è anche ciò che avvicina di più, con i dovuti distinguo, il M5S alla peggiore politica dei partiti personalistici che hanno egemonizzato la Seconda Repubblica e che forse molti degli stessi militanti del M5S vorrebbero definitivamente archiviare.

La necessaria cessione di sovranità da parte di Grillo e del suo guru Gianroberto Casaleggio sarà un altro tema che il M5S dovrà affrontare. E prima lo farà, prima si renderà credibile per una sfida politica di livello nazionale.

  •  
  •  
  •  
  •  

Commenti

commenti