Si rimprovera da più parti agli scettici del governissimo di non essere concreti. E di trascurare, appunto, il tema della concretezza. Argomento insidioso di per sé (Berlusconi sono vent’anni che dice di essere iper-concreto, con i risultati che conosciamo), che però è immediatamente reversibile: chi è scettico nei confronti del governo Pd-Pdl e della sua partenza (non proprio di slancio) lo è – oltre che per le ovvie cautele nei confronti della plausibilità dell’operazione – proprio in ragione della concretezza.

Lo ripeto, non c’è nessun «tanto peggio, tanto meglio» ma un «tanto prima, tanto meglio». E ciò riguarda certamente la legge elettorale, che dobbiamo fare subito, altrimenti verrà utilizzata come alibi per tenerci in ogni caso inchiodati al nostro seggio, ma riguarda anche le altre priorità del governo Letta. Che vanno definite molto meglio di quanto non lo siano state finora (così come vanno definite le famose riforme della Costituzione in quella convenzione che non c’è già più).

L’argomento della concretezza, però, va portato anche su un altro piano, che riguarda tutte le altre cose che vorremmo fare e che dobbiamo capire se riusciremo a fare: mi riferisco alle proposte sulla cittadinanza ai nati in Italia, alla legge sulle unioni civili, alle misure anti-corruzione, di cui in questi giorni si è sentito parlare, anche da parte di chi occupa i banchi del governo.

Ecco, vorremmo sapere quali elementi di concretezza ci sono in quei campi, quali possibilità concrete ci siano di portare a casa qualcosa, che cosa ci fa pensare che su questi argomenti ci sia in gioco un po’ di più della semplice testimonianza.

Perché a presentare proposte di legge sono buoni tutti. A vederle approvate, ahinoi, quasi nessuno. Alla faccia della concretezza.

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