Come forse sapete, ho un debole per Paolo Di Paolo.

Ora, il suo ultimo romanzo, che vi consiglio, si intitola Mandami tanta vita. C’è Gobetti, sullo sfondo, un giovane impacciato come lo siamo stati tutti (e pieno di ammirazione per quelli come Gobetti, come siamo stati tutti), uno scambio di valigia e il più classico degli scambi di persona: quando credi di avere trovato la donna della tua vita, solo che lei di vita ne ha un’altra. Che non è la tua. Ma comunque.

Il titolo fa riferimento a quelle formule epistolari che si rincorrevano, in tempi di biglietti, polizzini, carte da lettera profumate e imbustate perché arrivassero dritte al cuore.

E ho pensato a cosa mi ha colpito, di quel libro, ed è il fatto che viviamo nell’epoca più epistolare di tutte (e-pistolare, come scherzava, se non ricordo male, il solito Elio). Leggiamo migliaia di lettere e di messaggi, e scriviamo tantissimo, anche se solo per poche righe (che però poi a volte si allungano, perché non abbiamo il dono della sintesi, ce lo dicevano anche a scuola).

E mi fa sorridere pensare a questa polemica sulla rete, che qualcuno pare voglia rilanciare (ancora?) come se la rete fosse la sentina di ogni vizio e, invece, il mondo reale fosse un eden di relazioni perfette e di scambi immediati (e come se i due mondi fossero separati). Tema da convegno, che la politica ha prontamente sposato e, come spesso le capita, totalmente frainteso.

Mi dicevano ieri che un senatore del Pd, parlando male di me (e di quelli come me), ha usato l’aureo argomento del «sta sempre sulla rete» (proprio ieri che visitavo un ministero, un teatro a Roma, due treni e un teatro a Monza, e parlavo de visu con qualche centinaio di persone, vabbè). Come se stare sulla rete, per altro, fosse un modo sbagliato di vivere le cose e di interpretare ciò che ci accade.

Come se non nascessero relazioni, sulla rete, come è capitato anche su questo blog (e sto parlando di relazioni sentimentali, già, come quella tra Boschi di Lari e Capannoli).

Come se quella mattina non mi fosse arrivata un’email da una persona che avevo conosciuto una sera, e non ci fossimo conosciuti di più. Poi. E poi.

Come se, leggendo un post come quello che sto scrivendo, poi magari a qualcuno non venisse la curiosità di leggere il libro di Di Paolo. Che è cartaceo. E parla di lettere di carta. Di giovani. Intellettuali. Di un secolo fa. Pensa te.

Mandami tanta vita, come vuoi. Sulla rete, sul sedile di un treno, davanti a un teatro, a fine serata. Quando vuoi. L’importante è rispondere, io ci sono. O almeno ci provo. Chiudere i boccaporti o gli account, non salverà nessuno. Proprio nessuno.

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