La prima vera mossa politica del M5S da quando è iniziata la legislatura ha animato il dibattito di ieri.

Mentre si discuteva sempre di più del nome di Amato, ecco che il nome di Stefano Rodotà ha riaperto la partita, riscuotendo un plauso generalizzato anche tra gli elettori del Pd, che continuano a preferire una soluzione come la sua o come quella di Romano Prodi all’accordo con il Pdl.

Ora, il Pd, come cerco di spiegare da settimane, deve semplicemente scegliere: se continuare a macchiare il giaguaro (senza ‘s’) o se provare una strada inedita e non tradizionale. Capisco che sia un bel salto, ma forse è proprio quello che ci hanno chiesto gli elettori, cinquanta giorni fa. Soprattutto gli elettori che ci votavano e che non ci hanno votato più.

Perché l’unità nazionale non è solo una somma di interessi di parti diverse, come è stata rappresentata in queste ore: è anche determinata dallo spirito del tempo, dal sentimento che attraversa la popolazione, dal desiderio di ritrovare un legame rinnovato con le istituzioni.

Non so che cosa ci dirà Bersani, ma se fossi segretario del Pd oggi direi proprio questo ai gruppi parlamentari. E agli elettori. Senza fare (altri) pasticci. Di cui non abbiamo bisogno né noi, né gli altri.

P.S.: forse oggi si coglie il senso del piano C, che non è stato preso in considerazione, finora. Non è mai troppo tardissimo.

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