Scusate il titolo tipo Wertmüller, ma quando ci vuole, ci vuole.

Perché leggevo l’intervista a Tommaso Currò, oggi, su Repubblica, e pensavo che il dibattito interno al M5S assomiglia sempre di più a quello delle altre forze politiche. Sì, proprio quelle che il M5S ha avversato. Perché Currò dice cose ovvie, che personalmente su un altro fronte ripeto da settimane, e però è considerato un traditore dai suoi. Ognuno vale uno, già.

In pochi giorni siamo passati dal vaffanculo alla prorogatio, al ricorso a formule super politicistiche che sembra di essere tornati ai tempi dei giovani turchi (quelli della Dc, non gli attuali), al tatticismo più esasperato.

E Currò lo dice: se auspichiamo il governo tra Pd e Pdl, in verità, non facciamo altro che creare le condizioni contro le quali ci siamo sempre opposti.

Se abbiamo detto di avere un progetto di Paese e poi stiamo a guardare il governissimo Pd-Pdl, tradiamo la nostra prerogativa di mandare a casa la vecchia classe dirigente.

Se a me dicessero: puoi fare il nome del premier e del Capo dello Stato, puoi realizzare metà del programma per cui ti sei candidato, puoi dare un segnale di cambiamento che riguardi le strutture stesse della politica, mi precipiterei, altro che storie.

Ancora Currò ricorda che la fiducia è un passaggio tecnico. Ed è semplicemente vero. Speriamo che l’ovvietà si imponga come rivoluzionaria. Perché lo è.

P.S.: se posso, aggiungo una nota per sdrammatizzare. Luciana Littizzetto da Fabio Fazio si disperò per la mancata elezione di Bocchino (nel senso di Italo). In realtà un Bocchino in Parlamento c’è: si chiama Fabrizio e sta al Senato. E dice le stesse cose di Currò. Avanti così.

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