Ne avevo parlato qui, e ancora prima qui.

Ora Libero dice che la mia è un’imboscata, ma non lo è (del resto, se lo dice Libero…). Anzi. Serve, innanzitutto, per far capire che in alternativa al piano Bersani, non ci sono soltanto le elezioni, né il governissimissimo del dentro-tutti con Berlusconi, ma un governo con una fisionomia politica più chiara e un programma meno incerto.

Ed è un messaggio che lo stesso Bersani ieri a Brescia ha rilanciato: nessuno dirà «o sono io il candidato, o niente», proprio per vedere quali sono le risposte degli altri. Perché se Bersani sarà premier, lo sarà solo perché convincerà altri soggetti in quell’aula, e perché risulterà più convincente, appunto, di altre soluzioni.

In questo momento il mio consiglio da parlamentare qualsiasi è «stare larghi» (per dirla in bersanese) e ragionare in modo libero e aperto, perché la strada è stretta e sabato si è allargata nella percezione degli elettori, ma non tra i gruppi del Parlamento.

L’approccio che si propone, però, rende più credibile il percorso e mette in discussione, non tatticamente, ma in profondità, l’atteggiamento di tutti gli altri.

Le prese di posizione di Grillo, infine, non aiutano: lo ripeto ormai da venti giorni, dispiacendomene, ma così è difficile fare le cose che in molti, in quell’aula, vorremmo fare. E sulle quali, per la prima volta nella storia repubblicana, ci sarebbe la possibilità di convergere. Che a me sembra una cosa non importante: a me sembra un fatto colossale.

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