Lo dico da mesi, ma forse vale la pena ripeterlo anche oggi, a quaranta giorni dalle elezioni.

La destra in Italia non è scomparsa. Attendeva un segnale. Il segnale è arrivato. Dal passato, certamente, ma è arrivato. Con tutte le contraddizioni del caso, sicuro, ma quand’è che questa destra non ha conosciuto contraddizioni?

Ora non c’è da riproporre la solita ‘scena’, per la quale si passa dall’euforia alla depressione nel giro di una puntata di Santoro (detto Lazzaro). C’è da fare campagna elettorale. Senza continuare a spiegare che eventualmente poi ci si allea anche con chi non si presenta con noi. Perché non ha alcun senso. Ed elettoralmente è un mezzo suicidio.

In Lombardia, per fare un esempio (anzi, l’esempio), fino a qualche settimana fa tutti gli esponenti del centrosinistra si auguravano che Albertini si candidasse, per dividere lo schieramento altrui.

Ora, molti si augurano che Albertini si ritiri, preoccupati forse da un certo qual ingorgo di moderati che la competizione lombarda presenta (ve lo ricordate, il mitico appello alla moderazione?).

La moderazione ci vuole, ma solo nel senso della misura da trovare nei confronti della competizione che si apre.

Prima domanda: si vogliono vincere le elezioni o si vogliono pareggiare?

Seconda domanda: la destra ha perso molti punti, in questi ultimi mesi, ma ora facciamo affidamento su noi stessi o sulle disgrazie altrui?

Terza domanda: passeremo i prossimi quaranta giorni, voltandoci all’indietro, o lanceremo una volata, la nostra?

Sono domande retoriche, me ne rendo conto. Ma forse dobbiamo cambiare atteggiamento.

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