La questione dei prossimi anni sarà quella di non perdere la memoria dei precedenti.

Lo abbiamo raccontato più volte (nel Libro grigio, e nel debunking di questi mesi) e crediamo che sia importante, proprio per prendere bene le misure di un potere smisurato, accompagnato dal sostegno di gran parte dei poteri, quelli forti e quelli corporativi, di una regione che per quasi un ventennio si è stretta (in ogni senso) intorno al suo presidente.

Lo dobbiamo fare per ricordare che fino a qualche mese fa Formigoni era considerato insostituibile anche da chi, come Piero Bassetti, tifava per Pisapia e ora per Ambrosoli (nella speranza, ovviamente, che oggi abbia cambiato nuovamente idea).

Lo dobbiamo fare per non dimenticare che anche le operazioni attuali della lista de «Gli onesti al potere» (formula leggermente ossimorica) sono sostenute dai formigoniani, da una parte consistente di Comunione e Liberazione e – come scrive Gad Lerner – «dai Romiti alle Shammah, dai Tronchetti Provera ai Caprotti, dal ciellino Cesana al creativo Rampello, dal bocconiano Carlo Secchi a grand commis come Mario Resca».

E lo stesso Albertini, in questi anni, non ha avuto nulla da ridire, né quand’era sindaco, né quando è stato al Parlamento europeo. Ora ritorna, dopo un lungo letargo politico nel quale è quasi scomparso, e sembra uno di quei ritorni, tipo C’era una volta in America: «Che cosa hai fatto in tutti questi anni? Sono andato a letto presto».

Per ricostruire, bisogna saper decostruire questa impalcatura, e saper offrire ai lombardi un governo che appunto governi per conto loro e non per conto di qualcun altro. Dietro le quinte.

La prossima Lombardia deve stare davanti alle quinte. Non tanto per la passione del palcoscenico (a lungo frequentata da chi sappiamo noi), ma per la volontà di manifestarsi per quella che è. Davanti e didietro.

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