Abbiamo detto che la Lombardia è la Regione di tutti gli italiani, anche di coloro che vengono da lontano, e la vivono e ci lavorano: la sua storia passata e presente lo testimonia, a ogni passo, in ogni settore, in tutte le discipline della cultura, del lavoro e dell’impresa.

Un’attenzione primaria va dedicata alle donne. Perché la giunta Formigoni è un “giunto” tutto al maschile (per dirla con Marina Terragni), in cui le donne sono entrate dopo che per anni ce n’è stata una soltanto o addirittura nessuna (dal 2008 al 2010) e solo per via di un intervento della magistratura amministrativa. Era uno dei pochi esempi in questo senso nel mondo occidentale, se è vero che la Lombardia ha le dimensioni e il profilo di un medio Stato europeo.

Parità e differenza sono entrambi concetti alieni alla politica lombarda di questi anni, e invece vanno promossi nello stesso tempo e con determinazione. Sia nelle cariche elettive, sia nelle scelte che riguardano tutta l’amministrazione regionale.

La vicenda Minetti costituisce un vero e proprio monumento alla “questione maschile”, anche nella versione ipocrita di chi l’ha nominata nel proprio listino, dichiarando di averlo fatto per le sue competenze.

E l’oscurantismo di questi ultimi anni in campo sanitario e non solo ha spesso riguardato la vita e il corpo delle donne: non dimentichiamo Eluana.

Come non dimentichiamo che nel mondo lombardo della cura, che grava soprattutto sulle spalle delle donne, sono entrate centinaia di migliaia di badanti e assistenti familiari venute da ogni confine.

Non sarà, la Lombardia, la regione delle crociate, ma della laicità e del rispetto.

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